lunedì 16 febbraio 2015

Appunti da un prontuario di cure omeopatiche per influenze


del Guardiano del Faro



Intanto sarebbe meglio non farsi influenzare e continuare a pensare con la propria testa, ascoltando solo chi si è dimostrato affidabile e sorridendo andando oltre a chi dispensa consigli tanto per. Con le indicazioni mi trovo invece sempre molto bene, e sono pienamente d'accordo che un malessere -quindi non un vera malattia- vada curata con un metodo omeopatico, quindi sicuramente del brodo, magari più limpido e che faccia meno l'occhiolino ammiccante di questo; sicuramente degli ottimi tortellini fatti con le sue manine dalla nostra cara Catia Saletti da Chiavari, e sicuramente una batteria di Barbaresco da stendere un cavallo, mentre se ci fosse stato anche del bollente bollito misto avremmo sicuramente completato il prontuario, l'avremmo protocollato ed ingerito, ed oggi saremmo già guariti, invece il malessere ancora ci gira intorno, solo intorno, perché i saggi sanno che prima o poi passerà. Usare quattro volte di seguito "sicuramente" non è casuale, trattandosi in grammatica di avverbio opinativo, quindi discutibile all'infinito. Aggirarsi in 13 a tavola, anche se nessuno ha esclamato "preferisco il Barolo" continua comunque a rappresentare un fattore di rischio da prevenire con l'omeopatia ed eventualmente poi combattere con antibiotici.





Pi'i vini, come direbbero a Roma, quella batteria di Barbaresco non ha detto nulla di straordinario o clamoroso, nel senso che quel che pensavo continuo ossessivamente a pensare, e quindi che le due bellissime diversità tra quel Giacosa e quei Roagna vale ampiamente ogni viaggio sensoriale, anche per autostoppisti spaziali. Ai Produttori di Barbaresco dovrebbero costruire un'altra Torre a Barbaresco, altro che un monumento. Il miglior rapporto qualità prezzo è sempre vinto da loro, figuriamoci se poi vicino si trova Giove Tonante nella sua furia 2006. Furia a parole, fuggito come un cavallo impaurito dalla scacchiera dominata da Re, Regine, Fanti e Cavalieri.

I bianchi a corollario: personalmente mi sono permesso di aggiungere due dita di Puligny nel brodo, come ad un pranzo di Babette avrei fatto con Dona Flor, un Jerez Fino, o perfino un Amontillado. Di Flor ne abbiamo invece trovata da vendere dentro Chateau Chalon e nel Vin de Voile, dal Jura a Gaillac per un confronto tra maniere diverse di giocare con il frutto sul filo dell'ossidazione protetta.

gdf

6 commenti:

  1. Il bollito misto lo abbiamo mangiato ieri sera a Torino.
    F.

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  2. Curioso constatare come i tappi di Gaja si spezzino sempre con grande facilita'..... Rincuora sapere che non sono l'unico ad averci sempre litigato.....sovente ho litigato anche con il liquido all'interno del flacone....

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  3. In effetti la loro lunghezza sorprende sempre. Basta usare il levata poi per non spezzarli.

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  4. Il mio commento non era solo riferito alla lunghezza.Per fare un esempio,anche stappando i Cru di Rocche dei Manzoni, oppure un Maurizio Zanella(il rosso),ci si trova di fronte a misure decisamente superiori rispetto agli standard classici, non ho pero' (quasi) mai riscontrato problemi nelle aperture.Nel tempo invece per i Cru di Gaja la consistenza del sughero sembra cedere piu' facilmente.Avendo avuto la fortuna di stapparne molte bottiglie non riesco ad attribuire il problema alla sola mal conservazione.

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  5. Riuscire a firmare un commento oggi pare oggi più difficoltoso che tirare su un tappo intero di gaja

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  6. Ciao Guardiano i commenti relativi ai tappi di Gaja sono miei. In fede Ernesto "Ernestino" Boggiani. Un saluto ed un grande abbracci a tutti gli armadilli!

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