- by breg -
Avevo dormito poco. Ancora. Avevo dormito molto poco. Non per il caldo a volte soffocante del piumone e nemmeno per il freddo che vigliacco entrava come un ladro dal maledetto spiffero della finestra.
Avevo dormito poco. Ancora. Avevo dormito molto poco. Non per il caldo a volte soffocante del piumone e nemmeno per il freddo che vigliacco entrava come un ladro dal maledetto spiffero della finestra.
Il caffè aveva momentaneamente rimesso tutto sui tranquilli
binari dell’ insopportabile normalità, solo quel senso di inquietudine. Ecco. La causa della ennesima
nottataccia. Ma perché? Non era mai successo.
Non ricordavo da quando questo senso di inquietudine, così
lo definivo, era mio inspiegabile compagno e mi faceva sentire seguito, spiato
nel mio quotidiano, così che anche al sorriso più sincero mi sembrava mancasse
qualcosa.
Mi interessava sempre meno scovare quella luce che ogni giorno cercavo negli occhi della mia compagna e che mi faceva sentire vivo. Preferivo star da solo nella pausa pranzo, le chiacchiere infastidivano quel parassita che mi portavo dietro e lo costringevano ad alzare la voce per farsi sentire meglio. Preferivo stare da solo. Anche la luce gli dava noia, che palle.
Mi interessava sempre meno scovare quella luce che ogni giorno cercavo negli occhi della mia compagna e che mi faceva sentire vivo. Preferivo star da solo nella pausa pranzo, le chiacchiere infastidivano quel parassita che mi portavo dietro e lo costringevano ad alzare la voce per farsi sentire meglio. Preferivo stare da solo. Anche la luce gli dava noia, che palle.
Quindi
il massimo era stare da solo e al buio.
Quando era successo? Anche ripensandoci non riuscivo a
venirne a capo, non riuscivo a identificare il momento esatto in cui mi ero
imbattuto per la prima volta in quel freddo compagno di viaggio che si faceva
trasportare ovunque andassi. Pesava il parassita. Faticavo a portarlo in giro e
con il passare del tempo pesava sempre di più, quindi preferivo stare fermo.
Solo, fermo,al buio.
E la vita? Che si fottano tutti.
Ma tutto girava veloce, pieno di luce ed era necessario essere sempre presente. E
allora stavi sempre sulla giostra cercando di mostrare i denti, che il sorriso
ti dava pena pure pensarlo. A tutti , adorabile compagna, chiassosi amici,
colleghi impegnati nell’ up or out, mostravi i denti e a loro andava bene così.
Ti capitavano, innocenti e assassini insieme, gli inviti a cena.
Era uno sforzo titanico vestirsi , il mio sasso appeso
all’anima, l’esigente simbionte che era diventato non gradiva che io avessi
attenzioni per altro che non fosse lui medesimo, figurarsi pensare di passare
una serata a casa di amici. Ma la giostra girava e girava. Di ritorno dal mio
sfavillante posto di lavoro, stremato, annullato dalla fatica di fingere, ero
entrato nell’ enoteca. Il mio posto del cuore mi lasciava ormai indifferente e
le bottiglie schierate per l’adescamento erano un confuso sovrapporsi di grigi
contenitori di liquido. Le storie , gli aneddoti, la cultura che mi avevano
sempre affascinato erano scomparse. Un bottiglia per la stramaledetta cena e
poi finalmente sarei potuto andar via. Sorpresa, un ricordo. Una sera con il
bicchiere in mano di fronte ad una figura indistinta.
“ Che vino vorresti bere prima di morire?”
La bottiglia era li ben in alto sullo scaffale, che in basso
hanno tendenza a sparire mi aveva raccontato l’ enotecario.
“Prendo quella” .
Faceva freddo sulla banchina, lo vedevo nei gesti di chi mi
stava intorno. Io non lo sentivo, ciò che avevo dentro era peggio. Dieci minuti
di attesa. Mi ero seduto, avevo la nausea. Avevo la bottiglia. Avevo l’ospite
stranamente eccitato. Scarto la bottiglia. Guardo. Krug, Rosè, Brut, Epernay,
France, NM, quei rametti che non mi sono mai piaciuti chissà perché. Stappo?
Guardo. Vedo. Krug, Rosè. Stappo. Il sangue mi frizza, lo stronzo si diverte,
cuore a mille. Mi devo alzare o svengo. Non sento più nulla, nessun rumore,
nessun pensiero,nessun profumo, nulla. Bevo? Bevo, come beve chi non berrà più.
Sento le bollicine frizzare nel colletto della camicia non in bocca.
Spostamento d’ aria, linea gialla , 20 secondi, bevo.
Avevo ancora la bottiglia in mano quando decisi di non
tornare mai più alla mia vita precedente. L’argentea levatrice mi aveva
accolto nella mia nuova vita che necessariamente doveva avere a che fare con il
vino, unica passione sopravvissuta di una vita soffocante schiacciata sotto un
treno.
- breg-