sabato 1 settembre 2018

28 posti : The show must go on


- di Silvia Vecchione -


Musica, maestro! Voglio il frastuono delle onde che si infrange sugli scogli, il sibilo del vento che trapassa le conchiglie ed erode la sabbia; voglio tutti i cavalli del mare in lotta per domare il canto delle sirene. Scilla e Cariddi sullo sfondo, d’impeto s’alza il sipario: oggi, a teatro, la nostra Odissea è quasi un one-man show. Una storia di coraggio, intraprendenza e determinazione. Il racconto, eterno, di un viaggio. Itaca è Procida. L’Ulisse, colui che abbandonò le sacre sponde per spingersi a Nord, nella capitale dove il mare quasi tocca il cielo e non cantano sirene, ma sospira, languida, la sirenetta. Dal Golfo di Napoli a Copenaghen, poi a Milano, italiano crocevia d’avanguardie, Marco Ambrosino porta la mediterraneità all’estrema sintesi, concentrandone scientificamente l’essenza purissima, in una cucina che è distillato di verità, vitalità, ardore e passione.Accomodatevi, lo spettacolo sta per iniziare. Solo 28 posti.

Si alzi, dunque, il sipario: l’acqua c’è, il canale anche; l’aria, sì, talvolta è grigia, ma siamo un po’ più a Sud e la cucina di Redzepi resta lontana – almeno fisicamente – di un buon migliaio di chilometri. Siamo, invece, a pochi passi dalla Darsena milanese: un luogo di confine, dove l’atmosfera neo-grunge abbraccia la sperimentazione; e i confini non fanno paura a chi è nato su un’isola. Mancanza di casa? Forse Penelope non è pronta a questa cucina mediterranea contemporanea. Lo faccio per lei. Invece, la Milano d’oggi è aperta a tutto, alla sola condizione che non sia già stato visto: raccontami una storia, la stessa storia se vuoi, ma come non l’ho mai sentita prima. Stupiscimi: il nuovo lusso è esperienza intellettuale; esclusiva, perché riservata ai pochi che, come me, che non hanno paura di rischiare.

Paura di rischiare? Il primo atto la spazza via: Penelope ha gli occhi neri e le labbra rosse; pelle bianca, morbida, al tatto sprigiona una fresca essenza di agrumi, che poi, ardente, racconta delle calde giornate trascorse al sole, quando la pietra si faceva rovente, la sabbia si frantumava sotto i piedi, ma era dolce, questo rabbioso spettacolo di natura veemente, travolgente, sensuale. È il pomodoro San Marzano alla brace con limone, mandorle e tartufo nero. I due simboli di acidità mediterranea uniti coraggiosamente in un accostamento paradossale che diventa sinonimo d’audacia e, come tale, ci conquista.

All’alba, prima di partire per il lungo viaggio, camminava in riva al mare. Trenta metri più in là sulla costa, stava per lasciare casa e salpare all’avventura.Tanti pensieri ad affollare la testa del giovane navigante, spirito libero da viaggiatore, curiosità indomita, paura poca. “Chiajozza” è la quintessenza di un ricordo: racchiude e sprigiona tutta la sapidità del mare, intensissima, perché il tempo amplifica le sensazioni. Il crudo di canocchie e il gelato ai ricci di mare inondano il palato di pungente freschezza: arrivano forti, sono le note di testa; l’olio al pino marittimo è la nota di cuore e, nel cuore, la nostalgia; l’insalata di cavolo cappuccio e la sabbia al nero di seppia – le note di fondo – restituiscono solidità a un piatto che è prima di tutto memoria.

Sulla stessa lunghezza d’onda, l’ostrica alla brace, accompagnata da maionese d’ostrica, tapioca all’aceto di riso affumicato e granita al salmoriglio, è un piatto altrettanto riuscito. Un esercizio tecnico, un gioco da chimici trapezisti, maestri di equilibrio, che, per assurdo, ha “solo” l’ambizione di dimostrare realtà, purezza e veracità marina, schietta autenticità. Contrasto di consistenze e temperature che divide il piatto in battute, con sapori che travolgono il palato in una sequenza temporale in continua evoluzione. Un dinamismo percettivo da assaporare senza troppa fretta. Milano, ma che il cuore resti a Procida.

Un avvincente gioco di sperimentazione, questo spettacolo, dove l’unico vero rischio è l’autoreferenzialità: “delle cose che a me piacciono”. Il piatto che sconvolge, scardina e rapisce – se, come in questo caso, è ben raccontato e servito sempre alla giusta temperatura – si fa riconoscere e lascia il segno; ma sono a nostro parere scomode le eccessive punte di acido amaro toccate in portate quali la pancia di maiale con enogarum, menta e cavolfiore e nell’agnello con San Marzano e cavolo di mare.


D’altro canto, l’equilibrio precario è foriero di innovazione. Non è certo una milanese a opporvisi. The show must go on, quindi; un viaggio per mare che non teme tempesta, il coraggio di un Ulisse contemporaneo che fa cucina di confine, perché è su un’isola che nasce ed è lì che lascia il cuore.


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S.V.

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