venerdì 17 agosto 2012

Les Carillon


- del Guardiano del Faro -

Il capo dei sommelier di Georges Blanc quella mattina del 20 agosto 1992 passò come d’abitudine a salutarmi in sala, ad uno dei  tavoli apparecchiati per le piccole colazioni. Il momento era ormai consolidato nella forma e nella sostanza da almeno una settimana, una pesantissima settimana nella quale non mi era possibile far altro per iniziare la giornata: solo alzarmi, bere prima una spremuta d’arancio e poi un lungo caffè americano senza masticare nulla, solo pensieri contraddittori.

Non potevo continuare così. Quel caldo opprimente della campagna dell’Ain non mollava mai. Dipartimento 01. Ogni giorno mi toccava cominciare da 01, cercando vanamente di arrivare ai numeri successivi fino a sera, fino a notte, fino allo zero a zero, per ricominciare la mattina successiva da 01.

Nella cameretta c’era una piccola radio sveglia già selezionata per le 8,30, non trovai un motivo valido per cambiarle i suoi riferimenti, mi stavo affezionando a quel curioso carillon elettronico. Il condizionatore spingeva al massimo per rendere accettabile la temperatura nella piccola camera che stava sopra ad una lunga scala; scala che alla sua base condivideva un corridoio che da una parte dava verso la reception e dall’altra si apriva verso le cucine.

Aprendo la porta della piccola camera singola si poteva già capire quali fossero le priorità giornaliere di Georges Blanc. Quella mattina si trattava di un fondo di agnello al dragoncello, il giorno prima di un classico jus de viande de boeuf e due giorni prima di una sontuosa base di crostacei. Dunque jus d’agneau à l’estragon alle 8,30. Non ce la potevo fare, la testa era già dolorante per conto suo e lo stomaco stava per reagire male.

Una cameriera - sempre la stessa da una settimana - vide la porticina aperta e  premurosamente salì la ripida scaletta e bussò sulla porta aperta. Mi aveva portato la consueta spremuta d’arancio. Non osava dire nulla, conosceva la situazione, avrebbe voluto fare qualcosa in più ma la mia mente la respingeva. Lasciò il bicchiere di spremuta sul comodino, sorrise in maniera malinconica e richiuse la porta.

La prima la bevevo in camera, per combattere il sentore di jus de viande della mattina stessa e di quello della sera prima che avevo condiviso con le mignon de boeuf  e un Haut Brion 1961; serata dove una di quelle tre americane vestite con i medesimi rivestimenti delle poltrone e dei tendaggi, si era tirata addosso mezzo poulet à la crème giustificando la quantità di salsa presente nel piatto fondo, appena sufficiente per coprire buona parte del suo tremendo vestitino.

Il capo dei sommelier quella mattina, sapendo dove sarei andato anche  quel giorno, mi propose coraggiosamente un’alternativa che non fosse una corsia d’ospedale, che non fossero gli odori di disinfettanti e di anestetici, ma che per una volta fossero sentori di campagna e di cantine. Finito il caffè mi fece fare un giro nella cantinetta sotto vetro, fino a raggiungere una nicchia dove giacevano seminascosti da decenni alcuni flaconi di vecchi Champagne. Mi diede facoltà di sceglierne uno per la sera. Per il giorno, invece, mi infilò in mano due indirizzi di un paio di amici produttori di vino, fornitori fidati della cantina di Georges Blanc.

Uno stava nel Beaujolais a Morgon, l’altro molto più a nord, a Puligny Montrachet. Prima il rosso, mi raccomando! In Borgogna si usa così! Parta ora, alle 10 sarà a Morgon, si faccia la sua tranquilla degustazione di Gamay 1990 e 1991. Si fermi poi a pranzo qui, a Fleury, da Madame Chantal Chagny, ma non si faccia troppo affascinare dalla sua meravigliosa cucina del territorio, perché verso le 15,30 la attendono a Puligny per assaggiare le annate 1988, 1989 e 1990. Già da oggi pare che questo filotto di annate sarà difficilmente replicabile in futuro in Cote de Beaune, i Carillon non sono dei produttori  molto noti, riservati,ma anche seri e professionali, non arrivi in ritardo da loro.

Il mio primo telefonino risale al 1993, esattamente un anno dopo l’estate 1992. Si trattava di un grottesco Swatch bicolore, verde acido e fucsia, un oggetto orribile che mi fu regalato per potermi rintracciare ma che fortunatamente sparì insieme all’auto che mi rubarono in un parcheggio d’autogrill della tangenziale milanese. Quindi pas de telephone nell’agosto 1992. Fui costretto a prendere la consueta uscita per Bourg en Bresse ed eseguire la consueta penosa visita prima di proseguire.

Lo sguardo di lei diceva molto, stava cominciando a capire quale fosse l’epilogo, prima il nostro e poi il suo. Mi ci volle un doppio Pastis al bar di fronte per riuscire a reagire. E il sapore di quei Morgon o di quei Fleury non me li ricordo oggi come non me lo ricordai già due ore dopo averli bevuti, né chi fosse il produttore che visitai.

Chantal Chagny l’ho rivista l’anno scorso. Il suo Le Cep tiene duro, si sta bene da Chantal, e ci si ricorda che la dignità di un buon Beaujolais non è seconda a molti altri Terroir de France. I Carillon invece si sono divisi, adesso le etichette sono due, quell’etichetta gloriosa non c’è più. Di quell’ agosto 1992 resta questo,  una vecchia foto immerso nella piscina di Georges Blanc e una bottiglia vuota di Bienvenues Batard Montrachet 1988 dei Carillon, quando stavano insieme.





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