domenica 9 febbraio 2014

Il postino oltre la pagina

Marco 50 & 50

Anni dopo, mentre stavo preparando il mio risotto preferito, mi tornò tutto in mente, era arrivato il momento di dirglielo, lui era fuori per il calcetto con gli amici, era la sera e la decisione giusta.

L’aria mandava profumi primaverili, non passava quasi nessuno sul ponte oltre i campi che lasciavano respirare la vista dalla porta finestra che dava sull’orto e sulla vallata. Si stava preparando per uscire, i jeans attillati e gli stivaletti erano quelli delle serate col dopo cena, la tee shirt del colore dei suoi occhi aderiva sul seno così simile al mio, rossetto come sempre appena accennato, il taglio dei capelli  ricordava un personaggio che lei nemmeno conosceva, la Valentina di Crepax.

La chiamai chiedendole di ascoltarmi, non le avevo mai detto niente, ma la monitoravo, sedute all’aperto i grilli in sottofondo, le dissi dei grilli che passano per la testa, delle aspettative disattese, della speranza di una sorpresa e le raccontai dell’incontro ravvicinato con la nonna dicendole che quel che ti aspetti non è quasi mai quello che arriva e che prepararsi ad un incontro d’amore con un uomo che ha i tempi disallineati rispetto ai tuoi fa un po’ male.

Mostrandole le mie scarpe da gara col tacco 12 le raccontai di quando aspettando il babbo avevo lavorato un po’ di fantasia (il post del Krug in tacco 12 è lì a ricordarcelo)

Sai,  avevo addosso solo queste
Hai fatto la mamma sexi ?
Guarda che prima di essere una mamma sono una donna, comunque non posso e non voglio frenare le tue passioni ma un film va visto in diretta, senza immaginarlo prima, alle sorprese nell’uovo preferisco una collana scelta insieme da Tiffany
E se invece della colazione con le uova preferissi il salmastro delle ostriche e le perle le trovassi lì ?
Ti manca l’esperienza per gestire le situazioni, è il bello della tua età ma anche il limite, al campanello non troverai sorprese e tra il postino e la suocera invadente non so cosa sia meglio..
Mamma io vado, dormo fuori e domani non chiamarmi all’alba, ti chiamo io quando mi sveglio.
Stai attenta, gli uomini sono predatori e le sorprese che riservano sono amare.
Io voglio amare e farmi amare il sentiero è già tracciato

Il risotto al radicchio era un po’ troppo amaro e mentre lei s’illude io disillusa alludo e il tacco 12 stasera resta in panchina, speriamo almeno lei giochi una partita memorabile.

Chissà forse la mamma aveva ragione l’ho aspettato tutta notte poi l’ho visto con un’altra, dormirò davvero dalla mia amica del cuore, il cuore altrove.

Cosa fai già casa…
Niente
Non preoccuparti, vieni al mare con noi sabato e domenica ?
No

La mattina dopo il cielo era limpido come i miei occhi dopo una notte passata a piangere, ma perché tutti vogliono impedirmi di sognare… maschera al cetriolo, massaggio, lampada, ceretta, parrucchiere, un paio di birre e la pizza con le patatine sopra, la mamma dice che senza lievito madre non è digeribile, a volte penso non sia digeribile mia madre. Alle chiamate non risposte  non darò risposta, adesso torno a casa e mi provo tutte le cose che ho comprato. Invece arrivata a casa mi chiusi in camera come se non fossi stata sola e ricominciai a piangere, non avevo nemmeno  voglia di spogliarmi e di provare i jeans nuovi acquistati poche ore prima...
Driiin
Andai ad aprire, c'era un biglietto con un pacchettino per me, il pentito mi aveva mandato una collana di perle sotto scorta e sotto protezione a mezzo postino.

A volte si cresce da un giorno all'altro, non avrei più pianto per un uomo, le pene (plurale) d’amore non facevano per me, avrei girato pagina.
Driiin
Andai ad aprire per la seconda volta e per la prima volta lo guardai, di fronte a me un ragazzo stupendo con una ricevuta in mano mi chiedeva, col più bel sorriso che avessi mai visto, la firma che avevo dimenticato, lo invitai ad entrare, nel frigo c'era una bottiglia di Krug.
Due ore dopo lo accompagnai alla porta, indossavo solo le scarpe col tacco 12 della mamma e una collana di perle.

Siamo rientrati, novità ?
Nessuna, ha suonato un paio di volte il postino, ma era per me.

Prima di disfare la sacca del week end al mare diedi un’occhiata alla sua camera, stavo per mettermi ad urlare per il disordine, invece sorrisi, vicino allo specchio accanto alle mie scarpe col tacco 12 c’era una bottiglia di Krug che aveva in testa un cappello da postino.

Qualche giorno dopo all’ufficio postale lo vidi, lui mi guardò e mi sorrise, speravo non lo facesse, allora lo guardai di tre quarti pronta ad azzannare il pollo, mi avvicinai e gli sussurrai poche parole d’invito, dovevo farlo per proteggerla…lui mi guardò fisso, non mi ero sbagliata, invece mi sorrise e poi, serenamente, mi rispose con una frase surreale che mi riempì di gioia:

Questo pacco fino alla settimana scorsa sarebbe giunto a destinazione con la posta prioritaria, ma ho incontrato una perla con una collana e ho buttato il campanello, è bellissima, potrebbe essere sua figlia.

Marco 50&50

venerdì 7 febbraio 2014

Serious


- di Fabrizio Nobili -

SERIOUS NO SULFITES - Villa Job

Mi ricordo che chiaccherando amabilmente in quel di Lecco assieme a Philippe Pacalet mi disse che la scelta di un'etichetta riconoscibile a distanza sullo scaffale tra centinaia di altre etichette era fondamentale per il marketing. Le sue in effetti si notano con un colpo d'occhio. Altri produttori hanno etichette che viste da lontano si fanno notare: Gaja, Quintarelli, il Soffocone di Vincigliata e Testalonga sono le prime che mi vengono in mente.

Così è stato per questa bottiglia, era lì in alto seminascosta zitta zitta, con un prezzo come tante altre bottiglie ma quel colore e quel nome hanno fatto si che diventassi curioso come una scimmietta. Il nome del produttore per me sconosciuto e così maliziosamente anglo-italico hanno fatto il resto. Anche l'enotecaro ci ha messo del suo: “ci è piaciuto” ma pur di vendere si direbbe di tutto.

Con i vini senza solforosa si corrono sempre il rischio di essere delusi da profumi e sapori del “vino del contadino” che tradotto in francese è semplicemente merde de poul causato da tecniche di vinificazione e igiene in cantina poco curate.

Il vino si presenta all'occhio di un colore rosso rubino intenso con riflessi violacei che fa pensare ai vini giovani. L'olfatto percepisce vinosità fruttata di ciliegia ed una freschezza composta che in bocca è accompagnata da una nota dolce. Nessuna riduzione, nessun errore di vinificazione ed affinamento, una buona persistenza. Solo una cosa sfugge: il terroir ed il varietale. Potrebbe essere un vino fatto in una zona o in un'altra senza riuscire a capirlo. Dalle Langhe con i vitigni meno importanti, dal Montepulciano d'Abruzzo alla Sicilia fino alla Loira passando per Beaujolais.

Essendo un uvaggio di tre vitigni avrei potuto sentire le caratteristiche varietali di almeno due di questi ma le vigne giovanissime forse non permettono neanche questo. Comunque è un vino che riberrò volentieri.


F.N.

giovedì 6 febbraio 2014

Azzurro yogurt



-del Guardiano del Faro-

Quel sacchetto di crackers non l’avevo proprio notato. Mi dice: ma come, ma non hai visto che quello li era già aperto?!?... e tu perché ne hai dovuto aprire un altro? 

No, quel sacchetto proprio non l’avevo visto, anzi, ad essere sincero si, ma non avevo associato quel colore al suo contenuto. Se mi metti i crackers all’acqua dietetici dentro un sacchetto verde pisello potrei anche distrarmi e non collegare il colore al prodotto. Tra vedere, guardare, notare e prestare attenzione c'è un bella differenza.

Ho capito che vuoi evidenziare  il senso dell’acqua, del light e del non grasso, ma forse se fosse stato giallo il sacchetto avrei pensato subito ad un prodotto da forno, però magari condito con olio, invece vedendolo verde pisello quel pacchetto accartocciato di materiale verde opacizzato proprio non mi è venuto naturale collegarlo ad un sacchetto di crackers.

A quel punto potevano anche stamparlo in azzurro, così che il "non colore"dell’acqua fosse ancora più vicino al senso della comunicazione esteriore. Per me, verde per verde, dentro a quel sacchetto richiuso a metà ci poteva essere una tisana, un tè o dei pistacchi,  ma non un prodotto cotto in forno. Invece, fateci caso, sono sempre di più gli alimenti che si vestono di verde, colore che vuol trasmettere un segnale di serenità, di speranza, e perfino un non so che di ecologico... Verde e blu sono anche i due colori degli imballi propri dell'acqua, logicamente stavolta, in totale purezza di intenzioni.

Un sacchetto con dentro un prodotto da forno lo leverei dall’imbarazzo dello scaffale del supermercato e me lo porterei a casa volentieri, se solo fosse di un colore vicino al contenuto. Il colore del grano, del pane cotto in forno, dei grissini croccanti. Dal giallo al marrone mi sta bene. Ma verde mela o verde pisello no; ci metti i piselli surgelati o l'insalata dentro un contenitore verde di plastica, di cartone o metallico che sia. Giallo e verde stanno andando forte in coppia in caso di alimenti per cani e gatti, quindi occhio perché se poi a casa non ce l'avete il cane...

Se fosse carne di quadrupede ci dovresti mettere del rosso in evidenza, hamburger surgelati compresi, mentre se fosse carne bianca va di nuovo bene un tono tra il giallo, l'arancio e il beige, che fanno tanto cortile, passeggiando sull'aia. Se fosse pesce andrebbe bene l'azzurro, che da un senso di freschezza e di mare, anche se il prodotto è stato congelato sei mesi fa.

Il materiale è relativo e funzionale alla conservazione, spesso, mentre il colore è fondamentale per farti avvicinare al prodotto con fiducia o con curiosità. Parecchi anni fa mandavo avanti una piccola azienda di surgelati. Avevo in listino proprio un prodotto bianco in confezione bianca che si vendeva a parametro uno. Al freddo e al ghiaccio normalmente di associa il bianco o l’azzurro glaciale. 

Dopo qualche anno decisi che il colore di quella confezione dovesse diventare blu. Un tono di blu piuttosto intenso; puntai il dito sulla gamma di colori che lo stampatore mi propose e dissi: va bene questo. Andando a cercare oggi su wikipedia quale e come si chiama quella tonalità trovo analogie forti di fronte ad un quadretto colorato che viene definito con sicurezza Blu di Persia, ma che si potrebbe confrontare anche con il Blu di Prussia, anche se nel pacchetto c'era della candida trippa Argentina.


Quel che conta, dopo lo spaesamento geografico, è che quel prodotto che vendeva uno, l’anno dopo vendette sette volte di più, senza nessun cambiamento che non fosse stato il colore dell’involucro, come molti di noi quando si risistemano il look e si rivendono in maniera diversa.

Stasera mi sono cucinato un risotto strano. Mi hanno regalato della bottarga di muggine sarda di un bel color aranciato, e così mentre il Cavaliere di Sterimberg dava la biada al cavallo mi sono messo ad imbrattare la cucina e le pentole.

Nel brodo del risotto ho messo parecchie verdure, dove però volevo insistesse molto la carota insieme ad un'idea di concentrato di pomodoro che ha contribuito ad aranciare tutto il liquido; mentre la zucca ci è finita dentro in mirepoix a metà cottura del riso. Una punta di curcuma a far salire di tono della cipolla bionda, ed infine la bottarga grattugiata a chiudere la gamma cromatica e olfattiva. Era buono? Provate.

Ho mangiato con attenzione questo piatto arancione in pieno inverno, che è il colore degli agrumi più diffusi, pensando a quella studentessa di rami commerciali che da subito mi aprì gli occhi di fronte ad una realtà cromatica che sembrava non aver proprio senso, come la nostra storia del resto.

Mi domandava - lei, di tre anni più giovane e molto più curiosa di me- del perché il primo yogurt mai apparso in un negozio di alimentari italiano fosse stato confezionato o comunque vestito in blu, anzi, in celeste baby.

Si trattava dell'acidissimo Yomo naturale degli anni '60 e '70. E poi ancora perché mai la Perfetti di Lainate avesse scelto di stampare le coperture delle lastrine di chewing gum Brooklyn in celeste per identificare l’eccitante gusto yogurt, scoprendo nel contempo che l’acidità serve a dare un senso anche ad una cicca molle.(E' il sesto dall'alto in basso).

Non sapevo che cosa rispondergli mentre stavamo seduti su quella panchina, guardando il plumbeo Lago Maggiore a metà pomeriggio. Davanti alla panchina dove eravamo seduti in quell'estate 1980 si fermò e parcheggiò una nuova vettura Fiat appena presentata al salone di Ginevra. Dopo averla guardata con mal celata ilarità ci domandammo che riscontro avrebbe mai potuto avere sul mercato quella piccola Fiat Panda azzurro yogurt. Ripresi il mio vecchio px non dell'esatto tono di azzurro yogurt che gradiva lei e la riportai a casa pieno di dubbi sul nostro futuro.




gdf PX
.

mercoledì 5 febbraio 2014

Baudelaire a tradimento

Caro Cavaliere di Sterimberg Le porgo i miei omaggi,
spero che quando questo plico arriverà al faro, il Guardiano occupato mentalmente e fisicamente nello studio e nella realizzazione del prossimo menù monocromatico, abbia assegnato a Lei il compito di staccare la ceralacca dalla posta in arrivo.

In effetti oggi niente cavalcata al Poggio, apro la sua missiva arrivata insieme alle gabelle per luce gas telefono e altre diavolerie.

Lei come sta ?

Starei anche bene se non fosse che stasera sarò di corvè e dovrò rimettere in ordine tutto; quando, come oggi, il colore del menù è di difficile interpretazione, non le dico in che stato trovo la cucina del faro.

La capisco, è bello fare l’artista pensando allo spirito, anche nel senso alcolico,  lasciando alle altre personalità i compiti di routine, non voglio pensare che Lei si debba occupare anche dei tagliandi alle auto, delle assicurazioni, delle casse d’acqua per abbeverarsi.

Tutto tranne l’acqua, la odia, a battaglia navale dice sempre fuochino e non ne vinco una, a scacchi mi mangia sempre il cavallo, mi sento una dama, di compagnia gliene faccio, sono un maggiordomo più che un Cavaliere…

Cavaliere regaliamoci  un po’ di Romanticismo, dai romanzi cavallereschi il passo è breve, sto provando a rileggere Coleridge, e il suo The Rime of the Ancient Mariner datato 1798, forse ho trovato finalmente qualcosa di più invecchiato dei vini che si concedono in foto sul blog dopo essersi arresi al Guardiano, che potrebbe essere tratto in inganno dalla parola Mariner nel titolo, immaginando Bowmore dove altri vedono solo acqua:



“ Water, water everywhere,
nor any drop to drink! »
 Acqua, acqua ovunque,
e neanche una goccia da bere

Con me sfonda una porta aperta, ma al di là della porta  il farista potrebbe scoprirci a parlare d’acqua e non vorrei mai decidesse di non avvalersi più dei miei servigi, per un Cavaliere disarcionato la vita, di questi tempi, potrebbe essere davvero dura, la invito pertanto a mutare l’acqua in vino

Non ho questo potere, Lei mi sopravvaluta

Parli di vino, volevo dire, allora forse riusciamo a leggere una poesia senza che si alteri e diventi aspro come aceto

Beh, se devo parlare di vino, preferirei evitare quello adulterato, magari un assaggio di Baudelaire quello che disse “chi non beve vino ha qualcosa da nascondere”



Ecco, appunto.

E poi Baudelaire il poeta un po’ dandy, un po’ bohemien un po’ flaneur, che ama i grandi spazi e le grandi solitudini così combattuto interiormente, padrone dell’inconsistente e così lontano, come dicevamo prima, dal quotidiano, dalle convenzioni mi ricorda qualcuno…

Un albatros

Non solo caro Cavaliere…

Lo so ci siamo capiti, infatti domani, le bollette vado io a pagarle…


Le vin du solitaire (Il vino del solitario) di Charles Baudelaire

Che vale lo sguardo stanco d’una bella donna
che scivola su di noi come bianco raggio
inviato dall’ondeggiante luna sul tremulo lago
bagnando la sua bellezza indifferente?

Che vale l’ultima borsa di scudi nelle mani di chi gioca?
Che vale un bacio libertino della magra Adelina?
Che valgono i suoni di una musica snervante e leziosa
come il lontano grido del dolore umano?

Nulla, proprio nulla di fronte al penetrante balsamo
che tu, ampia bottiglia, conservi nel tuo ventre
fecondo per il cuore assetato del pio poeta;

tu gli versi la speranza, la gioventù, la vita
e l’orgoglio anche, quel tesoro da straccioni, sì,
ma che ci fa trionfanti e simili agli Dei!

Le regard singulier d’une femme galante
qui se glisse vers nous comme le rayon blanc
que la lune onduleuse envoie au lac tremblant,
quand elle y veut baigner sa beauté nonchalante;

le dernier sac d’écus dans les doigts d’un joueur;
un baiser libertin de la maigre Adeline;
les sons d’une musique énervante et câline,
semblable au cri lointain de l’humaine douleur,

tout cela ne vaut pas, ô  bouteille profonde,
les baumes pénétrants que ta panse féconde
garde au Coeur altéré du poëte pieux;

tu lui verses l’espoir, la jeunesse et la vie,
- et l’orgueil, ce trésor de toute gueuserie,
qui nous rend triomphants et semblables aux Dieux!

Marco, questa gliela faccio passare io, ho le chiavi del faro, delle cinture di castità e della password del Blog, speriamo gli sia riuscita l’alchimia col monocromatico, così domani magari mi sarà concessa una cavalcata lungomare fino ad Alassio, che poi è l’unica percorribile, sembra ci siano dei “vagoni” che ostruiscono il passaggio dei pellegrini, per cui o voliamo come falchi o a cavallo della Falchi…

Cavaliere, mi consenta  un abbraccio, virtuale, perché lei non esiste…
Ricambio, (chissà se M 50&50 esiste)
Ah Cavaliere, se stasera dovesse vedere sulla terrazza del faro uno strano essere vestito d’azzurro puffo, con le sovrascarpe monouso blu e un cocktail blue curacao, in un assurdo ton sur ton,  non si preoccupi. By gdf : oggi il monocromatico mi ha messo a dura prova ma l’ho puffato.

Marco 50 & 50

martedì 4 febbraio 2014

Farsi del male su facebook

del Guardiano del faro

Sul tema comunicazione web molti chef inciampano già sul primo gradino. Sarà il rilassamento da fine serata, sarà l’ansia da prestazione, sarà la mancanza di autocontrollo delle falangi quando queste si avvicinano ad una tastiera, fatto sta che sono veramente tanti quelli che riescono a perdere clienti con una zampata maldestra su facebook.

Ufficialmente non ci sono su facebook, tengo d'occhio quello che mi incuriosisce dal buco della serratura ma non me la sento di gestire una situazione che necessità una buona continuità di attenzione per tenere sotto controllo il traffico verbale in entrata e in uscita, per non parlare poi delle immagini. Immagini o figure, comprese quelle barbine, che sarebbe meglio evitare se ci devi lavorare con lo strumento web.



E così va per i nostri chef 2.0, che invece di curarsi di tenere aggiornato il sito web ufficiale del proprio ristorante eccoli gettarsi nella mischia di chiacchiere e di contatti del secondo tipo con altre migliaia di utenti, la maggioranza dei quali manco si conoscono, e manco conoscono il locale del nostro chef mediatico.

Il sito web del proprio ristorante dovrebbe essere per lo chef o il proprietario (a mio parere) il biglietto da visita da esibire al mondo degli utenti interessati a conoscere i contenuti espressi dal locale, perché li ci dovrebbero essere nascoste tutte le informazioni necessarie per decidere se andarci o no in quel locale, essendosi fatta (i potenziali clienti) un’idea abbastanza chiara, con sufficiente cognizione di causa se incrociata con i pareri che circolano vorticosamente.

Sul sito internet di un ristorante ci dovrebbero essere presenti per lo meno informazioni essenziali quali il menù e la carta stagionale, corredata da qualche bella immagine e dai prezzi effettivamente praticati. Ci dovrebbe essere anche una traccia quanto più aggiornata possibile della carta dei vini, del come arrivarci in quel posto, e poi altre immagini degli ambienti, dello chef e della sintesi della sua (se ce l’ha) filosofia di cucina e della sua storia lavorativa.

Poi vorrei trovare finalmente anche gli orari e i giorni di chiusura. Questa è l’informazione più difficile da trovare. A volte penso sia solo ben nascosta, ma che prima o poi riuscirò a scovare, zappando in ogni zolla del tal sito. Ettari di parole e immagini prese a picconate, prima di dovermi rassegnare ad alzarmi dalla tastiera per andare in direzione di una guida cartacea o di un telefono.

Chi ha rinunciato completamente dal crearsi o a tenersi aggiornato un sito web del proprio ristorante domicilia con un link la propria presenza web su facebook, o direttamente, oppure proprio con un link che parte dal sito del ristorante abbandonato da tempo al suo destino polveroso.




Imperversando su facebook invece di curarsi la propria immagine sul sito principale riescono a mettere insieme un cocktail di autogol che neanche ai tempi di Comunardo Niccolai. C’è quello che fa a pezzi il critico che non lo ha trattato benissimo sull’ultima guida uscita, quello che si vanta di aver mandato via quaranta clienti il sabato sera, dopo averli cercati proprio su facebook facendogli venire appetito con qualche bella foto scattata per lui dal blogger di turno; quello che le foto se le fa da solo, ed in nome dello scaraffone che è sempre bello di fronte agli occhi di mamma sua esibisce orrende immagini di pesci, bipedi e quadrupedi morti, riuscendo a corredare il tutto dalle diverse fasi di lavorazione in progress, come sul banco del coroner durante un’autopsia, frattaglie incluse.

Quelli che sono in vacanza e postano foto di spiagge lontane da questo fuso orario e da questo clima, o giusto nel momento in cui si ingozzano di aragoste nel chiringuito a la playa, mentre il loro ristorante è aperto regolarmente in qualche landa italica funestata dal maltempo; messaggio subliminale al quale il cliente mancato replica augurando buone vacanze allo chef aggiungendo… ci vediamo quando torni, si, forse.



Altre foto autolesioniste, sfocate o bruciate dal flash -di piatti che sarebbero probabilmente anche buoni- concludono il quadro, insieme a qualche sfottò al collega che si è a sua volta espresso ironicamente su quel piatto, andandosi pure a lui ad infilare nel tunnel della contro comunicazione. Non mancherà a questo punto qualche maledizione contro il cliente che la sera prima non ha manifestamente gradito qualche piatto particolarmente creativo, e altre frasi apparentemente sconnesse (lo faccio anch’io) frutto di tarde ore e di abuso di gin & tonic.

Chi deve aggiornarci non sul livello raggiunto dalla sua millefoglie, ma da quale livello ripartirà in quel gioco di ruolo on-line che dalle 19 alle 20 lo tiene impegnato alla tastiera, mentre noi ingenuamente pensavamo si dedicasse agli antipasti. Chi saluta dall'estero all'ora dell'aperitivo i propri fans invitandoli ed indirizzandoli a partecipare la sera stessa all'inaugurazione del nuovo locale che porta il suo nome... che però sta in Italia. Cucine fotografate per evidenziare in primo piano una teglia di lasagne fieramente bruciacchiate ma che sullo sfondo si evidenzia -la cucina- per un ordine ed una pulizia che fa rabbrividire più di una crime scene di CSI.

Mi riprendo guardando invece come altri siano così pragmatici e positivi, riportando semplicemente sulla propria pagina il nuovo menù, in attesa di aggiornarlo anche sul sito ufficiale, oppure non mancando di inserire un evento periodico, che sia una serata con un menù a tema o una cena a quattro mani. Altri ci mettono le previsioni del tempo. Domani fa bello! Venite a trovarci. Bravi, utili e simpatici questi, come a presentare in immagini un paio di nuovi piatti, oppure tornati nuovi dal passaggio di stagione, evitando però per cortesia di didascalizzarli con frasi del tipo. Guardate che meraviglia di piatto che mi sono inventato. Quelli che ci dimostrano che parte dei soldi incassati in settimana non se li sono giocati o fumati, ma bensì investiti nel nuovo modello del pacojet o del robot preferito, così come sarà interessante rendere partecipi i follower per scegliere il nuovo colore delle pareti del locale. Torno a zappare su facebook, che insieme a tripadvisor è fonte inesauribile di spunti e spuntini che ci fanno capire perché molti ristoranti lavorano poco. Se chi ti chiede di toglierti le mutande è una donna o un uomo, per un uomo o una donna fa differenza, ma su facebook no.

gdf

lunedì 3 febbraio 2014

Roagna

- di Danilo Meo -
Luca Roagna nel suo habitat naturale, gli si illuminano gli occhi e parla delle sue viti con una passione fuori dal comune, lo si percepisce chiaramente...
Roagna è una famiglia storica di Barbaresco, la loro prima cantina sta a pochi metri dal centro dal paese. Vincenzo, il padre, e Luca il figlio, formano una classica e tradizionale famiglia piemontese, sia in casa che in cantina con i loro vini. La famiglia Roagna è proprietaria delle vigne più prolifiche e migliori (a mio parere) di quella zona, Asili, Montefico, Paje, Crichet Paje. Le loro vigne sono tenute nel pieno rispetto del terreno, della terra e delle viti stesse, sono tradizionali, lasciano l’erba tra i tralci, le viti tagliate e tutti i materiali di scarto nella vigna stessa. Dalla terra alla terra. Nessun prodotto chimico, “biodinamico style”, nessun intervento che non sia 100% naturale.

Un piccolo passaggio dal sito della famiglia Roagna: I princìpi fondamentali Roagna si possono riassumere nel concetto di foresta. Un ambiente naturale è l’habitat perfetto per la vita; la nostra famiglia aiuta la vite nelle sue fasi vegetative e produttive senza mai forzarla. La terra é perennemente inerbita e si possono apprezzare diverse varietà. Se venissero tagliate o uccise molte specie morirebbero a scapito della biodiversità. Siamo certi che l’Humus prodotto da centinaia di erbe differenti sia molto più complesso di quello ottenuto da una sola varietà. A seconda della vigna a volte si trovano cespugli di menta selvatica, piuttosto che favino, leguminose spontanee ed un’infinità di erbe dai fiori profumatissimi.
Vecchie viti
Perché distruggere questa biodiversità?
In cantina, in un ambiente spartano ma accogliente e familiare, che ben rappresenta la filosofia Roagna, iniziamo a mangiare salumi e formaggi che Giuseppe Costantino, loro rappresentante, ci ha messo a disposizione insieme al pane rustico d’Alba e iniziamo a degustare un Langhe rosso, un buonissimo 100% di nebbiolo 2008, uve ricavate semplicemente  dalle viti giovani di 20/30 anni presenti nelle vigne di famiglia Asili, Paje e Montefico.
Panorama dalla vigna Crichet Pajé

Questo nebbiolo nasce perché i Roagna usano, per i loro barbareschi cru, le uve delle vigne viti con almeno 50 anni di vita e usano per questo nebbiolo base le viti reimpiantate da loro vecchie piante di selezione massale giovani, che hanno circa 25 anni lasciando invecchiare in modo fruttuoso le viti più giovani.
Dalla terra alla terra

Voglio, inoltre, far notare che tutti i barbareschi e barolo maturano in botti grandi di secondo passaggio (minimo),  in primo passaggio, infatti, vi affinano il loro dolcetto, che, oltre ad essere il loro vino d’entrata, permette loro di pulire le botti, che rilasciano così un’impronta molto incisiva di legno ed ottenendo così un vino, che comunque proviene da viti di con più di 70 anni, che può essere bevuto a distanza di 30 anni! Esistono ancora e sono  bevibilissimi alcuni dolcetto Roagna 1986 (esatto 1986 – 27 anni di vita!).
Quindi, il primo degustato è:
Nebbiolo 2008, ancora crudo, molto alcolico, naso potente, rude, in bocca il tannino giovane e scalpitante allappa, aggredisce le gengive, non molto persistente.
Luca Roagna, figlio ed erede dell’azienda nonché attivissimo enologo, ci spiega le sue intenzioni per la giornata, orizzontale di 2008 e stappo di bottiglie coperte.  Ottimo.

Barolo cru La Pira “Vecchie Viti” (come amano scrivere i Roagna e non Vecchie Vigne)annata 2008;  preciso che le ultime piante, le più giovani, del vigneto La Pira, di proprietà della famiglia Roagna, sono state piantate nel lontano 1937 ottenendo quindi un nebbiolo/barolo da una vigna che ha un minimo di 76 anni di vita.. tornando al vino lo trovo balsamico, al naso anche questo è molto alcolico, è nervoso, scomposto, anche questo aggressivo, (è giovane), terziari non ancora completamente sviluppati, esce la liquirizia, frutti rossi, amarena, in bocca tannini grezzi ma giovani, in ogni caso eleganti.
Passiamo ai barbareschi iniziamo con Tutte le “Vecchie Viti” 2008:

Barbaresco Paje 2008, balsamico, terziari non sviluppati perché troppo giovani, fruttato tendendo molto sui frutti rossi, amarene sotto spirito, in bocca è risultato più corto del barolo ma comunque molto franco e diretto.

Barbaresco Asili 2008, da terreni calcarei e sabbiosi e da vigne con più di 70 anni, anche questo molto balsamico, molto “fruttoso” anche questo, sono stati imbottigliati da poco e i terziari non sono ancora del tutto evidenti, predomina la ciliegia, il ribes, amarena sotto spirito, in bocca è un po’ corto ma con un imbottigliamento di pochi mesi è piuttosto normale, ho bevuto barbareschi Asili più vecchi e so esattamente che in bocca sono lunghissimi, persistenti e golosi. Qui si nota la giovinezza.

Montefico 2008, barbaresco, qui si nota l’austerità e la vigna più particolare delle tre, al naso è ancora chiuso amarena, speziato, balsamico, in bocca leggermente acido e scarico rispetto al naso ruspante.
Ora passiamo ai “bambini” grandi…

Barbaresco Paje, Vecchie Viti, Riserva 1998, almeno 12 anni di botte grande, almeno 18 mesi di bottiglia, altro pianeta, al naso molto complesso, speziato, pelle, liquirizia, frutta rossa, cenere, tabacco, incredibile, in bocca è alcolico, tannino verde, elegante, spigoloso, scalpitante, nota acida al fondo.

Barbaresco Crichet Paje 2004, l’ultimo “nato” della vigna Crichet, erbaceo, pelle, liquirizia, terziari non ancora sviluppati, frutti rossi, ribes, tabacco, note di rosa, una nota di menta selvatica (che poi troviamo molto spesso ai piedi delle viti), in bocca bilanciato al millimetro, equilibrato, secco, diretto, una goduria, come in Borgogna, una goduria golosa. E’ ancora troppo giovane.
Arrivano le bottiglie “sorpresa alla  cieca”: 2 che poi diventano 4; Luca ci sfida: voglio sapere se è barolo o barbaresco e le annate.
Nel primo bicchiere un vino dal colore intenso, si vede che è “anzianotto” terziari molto sviluppati pelle, cuoio, tabacco, cacao, cenere, in bocca i tannini sono dolci, levigati una leggera acidità.
Barbaresco Roagna 1990
Nel secondo bicchiere colore ancora più maturo, terziari ancor più definiti, pelle, tabacco, cuoio, china, liquirizia, cenere, come il ragazzo sopra ma più intense da grande annata, in bocca è elegante bello, pieno ma delicato il tannino è delicato e rotondo, grande bottiglia.

Barbaresco Crichet Pajé 1982
Arrivano altre due bottiglie alla cieca, il gioco continua:
Nella prima colore più carico, è più giovane dei due precedenti, erba macerata, viola, cuoio, liquirizia, complesso tendente al fruttato terziari che iniziano a svilupparsi, in bocca tannino giusto, un po’ scontroso, nel complesso un bel barbaresco.


Barbaresco Pajé 1999.
La quarta alla vista è uguale a quella di prima ma il naso è più complesso, erbaceo, molto balsamico, liquirizia, amarena sotto spirito, frutti rossi, viola, in bocca è aggressivo, i tannini giovani mordono le gengive, è un puledro scalpitante che sgroppa.

Barbaresco Crichet Pajé 2002 (giovanissimo anche se in una pessima annata)

All’esclamazione di uno dei commensali: ma dalla botte niente? Luca parte a razzo e torna con una brocca.
Alla vista scuro impenetrabile, al naso scomposto ma senza fronzoli, sta sviluppando tutti i sentori, molto balsamico, a volte spigoloso a volte fruttato, cambia nel bicchiere repentinamente ma è franco, in bocca è crudo allappa, i tannini sono troppo selvaggi, morde e sgrana le gengive, asciuga la saliva.

Barbaresco Asili 2007
Al termine di tutto, rimasti in 4, Luca va a prendere una bottiglia e dice ora beviamo una cosa che non c’è in commercio, bene!
Non la dichiara… colore scuro intenso, al naso è secondo me un bambino appena nato, balsamico, note animali, fortemente speziato, cuoio, tabacco, intenso, potente, in bocca austero, i tannini giovani sono irrequieti, grandissimo corpo che riflette il naso complesso, golosissimo.

Barolo Vigna Rionda Riserva 2005.
Luca ci spiega che non potendo proseguire la produzione in quanto il proprietario dei terreni da cui producevano il loro Vigna Rionda è morto, e gli eredi ne hanno ripreso possesso, hanno deciso di non mettere in commercio la Riserva non potendo garantire una linea continuativa di produzione.
Grazie Vincenzo, grazie Luca.
Danilo Meo

domenica 2 febbraio 2014

Breakfast in America

Marco 50 & 50

A volte la colazione diventa Breakfast in America...

Le mie variazioni sul tema si sono sprecate, quando studiavo non mangiavo dolci né merendine, compravo una focaccia, in subordine una pizzetta o portavo un tramezzino cotto e formaggio da casa.

Ho attraversato il periodo caffè macchiato e croissant, intervallato da quello toast liscio con tabasco e spremuta, qualche insipido inizio di giornata con tè e biscotti che ha prodotto negli stati depressivi anche la variante fette biscottate con marmellata biologica e senza zuccheri aggiunti.

Ho tentato i cereali, lo yogurt, il latte macchiato scuro con tanta schiuma, il panino al prosciutto, la frutta, la pasta fredda con olio e pendolini cucinata appositamente la sera prima, oppure ho bevuto per anni solo un caffè alla macchinetta dell'ufficio.

C'è stata la stagione integrale con miele e frutta secca e quella del caffè, pane e una scaglia di pecorino o della torta di mele di nonna papera e del bicchiere d'acqua col buongiorno.

Ho scoperto col tempo che posso mangiare niente come qualsiasi cosa, mi sveglio e capisco, il detto ogni lustro si cambia gusto mi si adatta, ma forse non ho capito bene la durata di un lustro.

Quando devo partire, mi porto del caffè freddo, in albergo assaggio, all'estero sperimento, in Liguria vado di caffè e focaccia con sardenaira a ruota, in Toscana mentre decido se crudo o capocollo affetto del pane sciapo, in montagna mi alletta il latte, uno strudel, dello speck, non amo le uova ma ho dato anche qualche colpo di frusta, ultimamente un caffè al risveglio e una spremuta di sanguinelli a metà mattina dal distributore automatico di pause lavorative.

Stamattina mi sono svegliato presto e mi è venuta voglia di aggredire questo soleggiato e pungente sabato brianzolo in pasticceria, il piano dei Supertramp non mi ha lasciato scelta né vie di fuga dal ricordo, mentre le note di Goodbye stranger mi riportavano indietro, seduto con un caffè macchiato e un mini croissant alla mela ho ripensato al mio Breakfast in America al San Carlo, l'elegante e ricco di fascino bar pasticceria ad un passo da Santa Maria Delle Grazie, frequentato dalla Milano bene dove camerieri in alta uniforme svolgono un servizio discreto ed inappuntabile.

L'albergo a ore che ci aveva concesso la camera per la notte era poco distante, la serata aveva preso la piega giusta, lei era giusta e aveva una bella piega su un viso intrigante e un corpo eccitante, mi mise a dura prova, le provai che gradivo le sue iniziative.

Entrammo in pasticceria con gli abiti della sera prima e le occhiaie della notte in bianco, quella fu una delle rare volte in cui riesco a rivedermi sopra gli sguardi delle gente, raggiante e sfrontato come si è solo a quell'età, divorai una quantità spropositata di meravigliosi canapè e mini croissant dolci, salati, farciti, guarniti...quella mattina chi ci servì non riuscì a resistere e con garbo mi sussurrò: aveva appetito, signore.

Marco 50&50

sabato 1 febbraio 2014

Tappo a vite

gdf

La vite alla fine del suo annuale ciclo vitale avrà bisogno di un tappo, sperando che tutto il suo lavoro creativo non debba poi alla fine provocare una smorfia sul viso di chi gli leverà il tappo, perché potrebbe anche sapere di tappo.

Che divertimento mi provocava provocare la sorpresa al cliente saccente e poi stupefatto dal fatto che il leva tappi mi serviva -dopo aver usato la lama- non a levare un qualunque tappo ma a levargli la corona dalla testa.

Mi serviva più la lama che l’infido verme di metallo, lesto ad infilarsi nel morbido sughero a sorpresa; no, mi serviva la lama per levargli la protezione necessaria, il minimo indispensabile, e poi il leva tappo a corona. Oh my god, farlo davanti all'Omone Michelin fu provocazione forte, ma di cosa si vive se non di provocazioni.

Che sorpresa leggevo nei suoi occhi, come quella ragazza che sapeva che stavi per arrivare e alzava lo sguardo soddisfatta -lei- al tuo posto, come dire: hai visto che roba che ti ho fatto.

Mi perdo, levata la capsula non c’era il tappo di sughero, c’era il tappo a Corona, che non sta messo bene: a osare troppo poi vedi che ti chiudono. Era Pierre Frick, alsaziano provocatorio, che provocava a me un sorriso ed ai clienti un motivo di attenzione verso chi lo stava servendo.

Era ed è un qualsiasi bar con annessa cucina in Svizzera o in Austria, dove non esitano ad estrarre dal sotto banco del bancone una bottiglia con il tappo a vite e dartene un bel bicchiere, perché non è necessario scorticarsi la mente né gli alberi di sughero per tappare un vino semplice da bere nei due o tre anni successivi la sua mise en bouteille.

Si, plastic is fantastisc, come diceva Lily Allen, ma per ridurre il numero di esseri viventi, viventi maluccio, e quindi anche in quel caso, prendersi il tempo di non perdere il controllo del proprio collo di bottiglia sarebbe già sufficiente a salvare il pianeta.

Non siamo mica qui per mettere sotto vuoto i ricci di mare! (ci vuole un attimo, ma visualizzandola arriva) Come sta Bersani? Spero bene. Nessuno è indispensabile, ma ci sono persone come Bersani e Trapattoni che sono un po’ più indispensabili di altri per tirare avanti.

gdf 7 minuti