- del Sancio -
I ravioli , quale piatto meglio che questo racconta della cucina Ligure e della sua storia . Naturalmente ne esistono centinaia di ricette ognuna delle quali si auto attribuisce il titolo di “ originale “ titolo che a mio parere non può essere attribuito altro che alla pari tra tutte queste in quanto ognuna di esse si è sviluppata autonomamente secondo le esigenze e le possibilità del momento. Di ravioli ne esistevano due grandi famiglie quelli da ricchi con il ripieno di carni assortite e quelli da poveri, con il ripieno di verdura e il sugo lungoooooo , ma siccome non era bello dirlo in pubblico si adottavano i nomi più strani . Di carne erano quelli che si facevano per Natale , Pasqua e poche altre feste comandate e di magro , dato che allora i poveri erano anche magri , quelli di tutti i giorni , si fa per dire !! A casa mia le grandi manovre per fare i ravioli cominciavano il giorno prima, bisognava comprare le materie prime , la carne per il sugo, muscolo o scamone e quella per il ripieno, vitella con qualche pezzetto di maiale che non ci andrebbe ma costando meno, almeno quando la vitella era tale , vi entrava di nascosto e poi laccetti e cervella prima dell’ era della mucca pazza , arrivavano poi le verdure per il ripieno e per il sugo , quasi tutte venivano dal nostro orto. Carote, sedano, rosmarino , alloro , l’onnipresente persa , i preziosissimi pinoli accuratamente nascosti per evitare saccheggi e il prebugiun , misto di erbe di campo con la particolarità che ogni persona aveva le sue preferenze e le sue certezze, questa no perché è dura , questa è amara, questa fa passare la notte sul vaso , nu l’è vea vuiatri sei furesti questa a lè bunna l’emmu sempre piggiaa, nu capii in belin a proscima notte apassemmu a zugaa a trei sette in sciù cessu …. Noi bambini per non sbagliare le prendevamo tutte e lasciavamo i grandi a litigarsi mentre cercavamo astutamente i pinoli . Alla sera si faceva passare in padella con l ‘olio la carne per il sugo, le carote il sedano i pinoli , si bollivano le verdure per il ripieno, si preparava il pan cotto fatto con biscoti de pan, specie di gallette dure ma friabili appena passati con acqua calda e aglio in modo da ammollarsi e i pinoli passati al burro in padella con la vitella e i gusti del caso . Il tutto, carne , pinoli , verdura e pane veniva passato poi al tritacarne naturalmente a manovella in modo da renderlo omogeneo e quindi si univano alle uova sbattute da noi ragazzini un poco da tutte le parti , al parmigiano gratuggiato e l’immancabile maggiorana . Naturalmente questo ripieno bisognava assaggiarlo per il sale, il formaggio e allora giù ditate , rimbrotti , pareri falsamente discordanti ancun in pitin de saa , damme u furmaggiu da grattaa , levite de in ti pee che ti nee za grattou abbastansa. Veniva pure preparata la pasta per la sfoglia , messa la farina a montagnetta si univano le uova , con parsimonia non come quegli spendaccioni di Emiliani , tre per chilo di farina massimo, il sale e se serviva un po’ d’acqua e vino bianco. A questo punto ai più forzuti era dato l’incarico delle prime manipolazioni passando poi la mano ai più piccoli quando il tutto diventava più morbido. Lasciato riposare tutto questo ambaradan e ripulita la cucina e i cucinieri , si aspettava la mattina della domenica . Per chi ci riusciva la sveglia era bello presto , bisognava mettere sù il sugo con la carne e la verdure , il pomodoro concentrato preparato l’estate prima il rosmarino e l’alloro. Una parte di carne poteva essere lasciata intera e serviva poi come secondo ,allungato il tutto con un po’ d’acqua o brodo se dopo ci toccava anche la gallina ripiena , si portava tutto a bollore , il punto ideale era quando faceva blop ………blop ……blop ma attenti non troppo alla svelta , tre o quattro ore circa. E ora veniva il momento centrale del rituale , la crosta . Si tirava fuori la macchinetta per la sfoglia , una Imperia a manovella testimone lei sì di tante croste , e dopo aver smoccolato per fissarla al tavolo iniziava l’operazione .
Lasciatemi adesso fare un attimo di reclame a questa azienda , benemerita per aver tolto tanta fatica , alle mattarellatrici, disprezzata dagli intellettuali del cibo , ma si sà sono appunto intellettuali perché non fanno un belino oltre che al dare giudizi , ma osannata da tante massaie. Io un piccolo Arco di Trionfo a manovella lo farei , anche piccolo piccolo su una ciassetta anche ascusa , de quelle duvve sé mangian i panetti in sce banchette cun i picciun cun scrittu “ A eterna memoria “ mi ou faiesce. Spezzata dunque la pasta a pezzetti si passava tra i rulli , prima distanti poi sempre più vicini , subito cercavamo di accelerare i tempi saltando qualche buco cercando di non farsene accorgere dall’artista cuoca , mia madre , noi piccoli manovellatori ma il trucco non funzionava mai e allora riparti dal primo buco , ci vuole il suo tempo come in tutte le cose. Arrivati agli ultimi buchi entrava in gioco l’artista , mica era facile tirare una sfoglia quasi trasparente , gira lentamente , appoggia la sfoglia che esce sugli avambracci , non con le dita che bucano e poi sul papee mattu infarinato.
Arrivava poi lo spalmatore , compito di responsabilità da cui dipendeva l’esito del tutto , difatti mettendo troppo ripieno quando li cuoci scoppiano e mangi una minestrina , se ne metti poco sembrano vuoti come se volessi risparmiare e non è bello, poi la seconda sfoglia a coprire la prima , tagliate le parti eccedenti si facevano combaciare i lati esterni , in modo che il ripieno non uscisse ,con una leggera pressione delle dita e poi il taglio . Su questo esistono varie scuole di pensiero , chi usa un cannello sagomato a quadretti e poi taglia con la rotella, chi usa una riga per segnare e poi taglia , chi più tecnologicamente usa una specie di pantografo con tante rotelle che i futuri archeologi potranno trovare durante gli scavi davanti alla finestra della mia cucina dopo un volo definitivo , oppure come facevamo noi direttamente con una energica pressione della rotella a formare i tanto agognati quadretti , meno bordo più raviolo. Lasciati asciugare un poco erano pronti per la cottura , l’acqua bella bollente , una ramina per tirarli su , il grilletto con dentro il sugo fumante , le formaggiere piene di parmigiano gratuggiato fresco , fresco sicuramente perchè non arrivava mai a diventare vecchio , e via mescolare , mettere il formaggio direttamente nel grilletto perché se nò agli ultimi non arrivava , prima ai bambini , no ti nu , t’èe vusciu e braghe lunghe e oua fanni u grande , a lee ti n’èe dou de ciù , nu l’è vea mia chi , cuntemuli , bravu belinun ti te nèe za fou tre bucchèe fino a che lo sbraitare dei grandi metteva a tacere questa indegna gazzarra .Come avrete capito i Ravioli non sono quindi un semplice piatto di pasta ma per noi genovesi sono la prima pagina di un libro di ricordi che stà andando perduto . Queste poche righe le vorrei poi dedicare a chi mi dice che cuciniamo sempre le stesse cose , che non abbiamo il coraggio di metterci in discussione , io mi immagino davanti a un bel piatto fumante di ravioli , tu a un filetto di Triglia adagiato su un letto di rucola del Sudafrica e verdurine tagliate da Julienne , fate voi chi stà meglio!
- Sancio Panza -
alla ricerca delle emozioni lungo le strade asfaltate e non: del vino, del cibo e della musica
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mercoledì 7 dicembre 2011
La raviolata
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