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sabato 13 ottobre 2012

Guéridon e pannolini

- gdf 2012 -

Due oggetti che normalmente dovrebbero aver poco a che fare tra di loro, salvo emergenze, e magari a casa tua caro papà; tu che l'avevi comprato negli anni novanta, pensando fosse un carrellino bar e che quindi l'avevi destinato a deposito di bottiglie dei liquori di sotto, e di bicchieri di sopra. Poi, a forza  di inviti a bere qualcosa a casa è arrivata quella giusta da farci un  bambino  da cambiare di sotto spesso nel primo anno di vita e nel  nel primo posto pratico che lo consentisse, quindi perché no sul guéridon, comunque non più utilizzabile da esca da gnocca  perché se la moglie  ti vedesse bere un altro bicchiere di whisky dopo il matrimonio ti farebbe comunque due timpani da ricovero.

"Pannolini farciti a pranzo" 


Ora, che la famiglia dal chiaro accento romano si comporti in maniera cafona al ristorante non è una grande notizia: checcià oltre a quello checcè 'n carta?  comunicato a tono di voce ultraterreno mi tange relativamente, anzi mi disturba pochissimo, al margine della risatina da barzelletta male interpretata. Mi sorprende invece l'atteggiamento del ristoratore ligure, notoriamente ostico e poco disponibile a farsi stuprare il locale da un qualsiasi cliente - pur se disposto a spendere considerevoli palanche - e che invece di cacciarli gli consente ogni comodo loro. Dotazione compresa  dell'uso di guéridon - in origine previsto per il servizio dell'olio e guarnito di pane e indispensabili piattini - per uso improprio e molto diverso, e cioè per il cambio plurimo di pannolino d'infante, ai margini di una sala popolata da almeno venti clienti increduli.

Ci sarebbe un bagno, abbastanza funzionale ( ho verificato, per forza ) e spazio protetto in prossimità del medesimo, ma...

Giovane e dolce mamma persa nei suoi pensieri e acida suocera già pronta a guarnire di ogni suggerimento non richiesto l'atmosfera, già pregna di sentori che invogliano i più ad andarsi a prendere una boccata d'aria all'esterno; io, che invece mi ostino a tenere la testa bassa non capisco più se è il calamaro che ha quell'odore, ma, nel dubbio vado a girare lo stomaco in bagno.

Lo dico sempre, bisogna essere almeno in due per fare alcune cose, in questo caso il cliente e il ristoratore, che se ne sono fregati altamente dei molti clienti presenti in sala, ma in questo caso siamo in tre, perché il locale è segnalato dalla Michelin e da L'Espresso, ma, ahimè, salvo auspicabili errori di stampa - per una volta desideratissimi- anche sulla nuova Guida del Touring.

Chi è? Come si mangia? Cosa volete che conti come si mangia? O che abbia comunque pagato 62 euro per due piatti di livello medio basso bevendo un' onorevole bottiglia, e che l'oste non mi abbia conteggiato il calamaro aromatizzato e mi abbia offerto una grappa per digerirlo?

E poi, perché non citare colpevolmente il nome del locale? Perché in Italia potrebbe essere individuato nel neonato il colpevole.

- gdf -




venerdì 22 giugno 2012

Agonia di un Maitre


- del Guardiano del Faro -

Sta fermo sulla porta di uno degli ingressi di un cinema multi-sala a staccare i biglietti d’ingresso al pubblico pagante. Sorride a denti stretti, cortesemente, gentilmente, nascondendo il malcelato sconforto. Sono entrati tutti, il loro spettacolo sta per cominciare, può tornare per un ora e mezza alla biglietteria a dire banalità con le ragazze impegnate a vendere altri biglietti che lui più tardi dovrà spezzare in due, come la sua carriera.

Ha il tempo per uscire sul marciapiede e fumarsi una sigaretta con il collega, esattamente come gli chiedeva di fare il suo chef quando voleva condividere qualche minuto di dialogo confidenziale senza che i ragazzi di sala li ascoltassero, così, per attenuare la tensione prima del servizio, per concordare dove collocare in sala quel tavolo apparentemente problematico prenotato da tre settimane. O perché quel singolo prenotato da qualche giorno puzzava di guide lontano un chilometro. E poi il nuovo di cucina? Ce la farà? E il sommelier? Hai visto come si comporta? Sempre a prendere in mano il pallino e sovrastare la sua figura.

Peccato, non c’è più spazio per chi al gueridon riusciva a smontare un’intera Canard de Challans solo con forchettone e cucchiaio, senza neppure usare il trinciante, che veniva utile in caso di Gigot d’agneau de Sisteron o per un tenero Carrè d’agneau de Pauillac. La salsiera, la cloche, un giro di salsa, la collocazione del contorno, la chiusura della cloche e il servizio teatrale sotto il naso dei clienti stupiti da tanta maestria.

Ma lo chef ormai voleva porzionare tutto in cucina, era più pratico, più preciso, meno rischioso di un servizio in sala e, anche il tempo è denaro, e quindi caro il mio Maitre, non puoi prenderti tutto quel tempo di stare al tavolo per dividere la polpa dall’osso di quel Turbot in casseruola; non puoi diliscare e ricomporre quella Sole meuniere, ci pensano a farlo in cucina per te.

Ha accolto amabilmente migliaia di persone, riaccompagnandole elegantemente fino alla porta per un sorridente congedo. Ha fornito loro la grande carta, ha raccontato il menù, ha preso la comanda, consigliando e delineando una sequenza breve o lunga di portate che potesse essere la migliore per ognuno dei commensali. Ma ormai era la Signora, la moglie del proprietario che se ne poteva occupare, libera da altri impegni, sempre vestita con quegli abiti vistosi, e intrisa di quel profumo troppo concentrato per non alterare l’atmosfera.

Lui, che al massimo masticava una mentina mezzora prima del servizio, solo per essere certo che l’unico profumo che il cliente potesse avvertire fosse quella di una fresca nota balsamica nell’aria. Lui che aveva tenute aperte le finestre fino all’ultimo, perché come al solito lo chef si era dimenticato di accendere la cappa in cucina e il sentore di jus de viande aveva compromesso quel lieve profumo di deodorante che usava spruzzare due ore prima in sala, arrivando sempre mezzora prima degli altri al ristorante per rifinire ogni dettaglio: dalla pulizia del bagno, la stiratura delle tovaglie, l’apparecchiatura dei tavoli, l’aggiornamento della carta e dei menù.

Menù e piatti che avrebbe avuto piacere di continuare a raccontare, ma che i clienti desideravano fossero spiegati direttamente dallo chef, che usciva con piacere per qualche minuto a salutare ogni tavolo, prima e dopo il servizio, togliendogli anche quel momento di centralità.

I sommelier stavano diventando sempre più bravi ed eccentrici. Del resto, se dovevano abbinare un piatto ne dovevano conoscere tutti gli ingredienti e il tipo di cottura, esattamente come doveva sapere lui, però il cliente era più incuriosito dal gioco di contrasti e di armonie che si creavano tra il piatto e il vino, e dunque piano piano lasciò fare. I clienti gradivano i giochetti del sommelier, e per lui di spazio ne rimaneva ormai poco: prendere la comanda, portare avanti i piatti pieni e portarli indietro vuoti.

All’accoglienza arrivava prima la Signora, al congedo era di nuovo lei a stringere la mano a chi se ne andava, previa stretta di mano allo chef. Al tavolo il dialogo era diventato un affare del sommelier.

Marginale a tutto, si rese conto progressivamente di essere diventato un buon cameriere. Aveva fatto la carriera andata e ritorno. Aveva cominciato come cameriere, era diventato Maitre, Direttore di sala, ed era infine tornato ad essere un cameriere a causa dell’estinzione di un ruolo.

Spense la sigaretta nel posacenere posto fuori dall’ingresso del cinema, tornò come un automa verso la porta che dava alla sala dove lo spettacolo era quasi terminato, attese che il pubblico uscisse e salutò singolarmente e amabilmente ogni cliente in uscita dalla sala. Qualcuno ricambiò il saluto chiedendosi del perché di quel gesto non dovuto, addirittura incongruo a quel ruolo, a quello di un qualsiasi stacca biglietti.  

 - gdf -