domenica 27 ottobre 2013

Di solito funziona

Nino  Benvenuti 
 - di Marco 50 & 50 -

Non doverlo  fare per mestiere permette di scegliere. Dove mettere le gambe sotto il tavolo ma, cosa non meno importante, l’argomento del post.Per l’argomento del post uso un trucco, fingo di dover andare ad un ballo, metto una maschera, del mascara e accendo un cerone, di solito l’editore non mi riconosce, allora gli invio un pezzo di difficile collocazione e subito dopo, sapendo di coglierlo confuso già dopo le prime righe, rincaro la dose e gli mando dell’uva spina o un barattolo di nebbia sottovuoto.Di solito funziona.

Per i ristoranti è più difficile, mi informo, prendo nota, leggo le recensioni, sento i pareri, guardo le foto fatte con passione, ascolto i gourmet, valuto la distanza da casa, il rischio etilometro sulla strada del ritorno, i prezzi.
Di solito funziona.




Non ho la possibilità, di ripetere più volte una visita nello stesso ristorante o di fermarmi per la prima volta dove invece mi piacerebbe sostare a lungo, le variabili tempo, salute, denaro e l’invariabile (finché sopporta) quota rosa, formano un’incognita talmente difficile da risolvere che rende vana ogni programmazione.

I luoghi del cuore meritano un discorso a parte, nei posti dove si sta benissimo in qualche modo si torna andando ad erodere il portafoglio e la percentuale di tempo libero che col passare degli anni scende dal 100% a percentuali talmente tristi che non vale nemmeno la pena segnalare, il tempo da libero diventa impegnato e parla sempre e solo di argomenti che annoiano.
Poi per fortuna e purtroppo, il tempo a disposizione risale di percentuale ma, di pari passo, diminuisce la libertà di manovra, insomma come la giri la giri …

A proposito di spazio di manovra, ma anche di “post in libertà” mi chiedevo quale fosse nel settore un argomento importante, spesso solo sfiorato dagli addetti che devono mettere a fuoco soprattutto i piatti precedentemente messi sul fuoco dagli chef, ma anche tenere la mente e la penna fresca per descriverci al meglio i vini messi in fresco.

Ci sono due o tre persone che come dice un bartender  (al quale chiedo di regalarmi, anche in privato, il pezzo di vita che cela non affiancandolo al sapere) “intingono il pennino” e ci lasciano storie, prima di recensioni.
Con le storie arrivano ancora meglio i piatti, i vini, il calore e i profumi, difficilmente descrivono piatti freddi che invece lasciano ad altri come le recensioni della stessa temperatura.

Una di queste persone  è targata Perugia, un’altra fa la poetessa. Come non ci si può aspettare da tutti lo stesso naso e lo stesso palato, non auspico un racconto medievale per ogni  locale e nemmeno , meno male, uniformità di giudizi.

Mi chiedo però perché un aspetto così importante, sia volutamente, se considerato, considerato marginalmente da tutti, “pennini preferiti” compresi.
L’accoglienza, punto.
Ma l’accoglienza è un punto fermo.




Non credo si possa ridurre tutto citando la sorella di uno chef e pochi altri, e se in Gallia o altrove ci fossero altri Seni meritevoli, se si venisse a sapere che un appassionato che esce a cena con una quota ed erode i propri risparmi può diventare crudele più di Erode, se, pur mangiando e bevendo bene è accolto male.

Esco per diletto, da quando il letto era il diletto principale, non avrò visitato più volte tutti i locali meritevoli, ma ho eroso, molto. Oggi nel ristorante aziendale mangerò il mio mezzo pollo, così non dovrò chiedermi chissà chi sarà rimasto senza. Sono quindi una statistica, una percentuale, un campione, forse di nicchiate. Eppure nessuno di quelli che ascolto, di quelli con i quali mi confronto, torna in un locale se manca l’accoglienza.

Non compro neppure una verza, un etto di crudo, una Panda gialla senza logo, se le persone non mi convincono. Spesso spendo di più, ma preferisco dare a chi mi piace che a chi non mi convince, anche se, a parità di prodotto, potrei risparmiare dallo strafottente di turno. 

Michela Miti
Le moine, nemmeno se fatte dai monaci dello Iowa, non mi convincono, l’atteggiamento chiuso ma educato al limite del burbero lo accetto, ma non voglio sia superata questa sogliola nemmeno dalla mugnaia infarinata. Ma perché dovrei fare colazione in un posto, se chi me la prepara ha una voglia di fragola sulla guancia ma non ha voglia di servirmela, la colazione, sulla fragola è ancora tutto da vedere.

Perché avrei dovuto far regolare una vite da un ottico che non saluta, meglio da uno che conosce la pianta. Per gli occhiali nuovi  mi sono rivolto ad un altro ottico, che aveva un visione diversa, un’altra ottica, con me non è certo diventato ricco ma è già il terzo paio che mi vende, me-ditate, sulle lenti nessuna, li pulisce sempre bene.

Siamo disposti a dare una seconda possibilità ad un piccione rosa shocking e ad uno spilungone che ci serve con garbo un vino che sa di tappo, torniamo per riprovare il risotto che è mantecato male, sorvoliamo se le mele non sono annurche, anzi non sono proprio mele, ma se ci vengono servite con grazia, anche per una forma di educazione non le rimandiamo indietro. Maciniamo chilometri per una cena quasi perfetta che a volte, però, si conclude con un caffè cattivo, macinato male, eppure se l’accoglienza ci ha accompagnato fino a fine pasto, dimentichiamo il caffè e ordiniamo un distillato.

Quando arriviamo in un ristorante si capisce subito dalle prime note, che sentiamo in sottofondo prima ancora di aver varcato la soglia, che musica dovremo aspettarci, sono le sensazioni di pelle, le più importanti, se avremo usato uno sguardo non superficiale ci serviranno in seguito per capire tutto il resto, come quasi sempre, con le persone, nella vita.




L’accoglienza al ristorante è molto, se manca, la cena è incompleta ed il cerchio non si chiude,  ma deve venire spontanea come a casa, altrimenti non accogliamo nessuno e riguardiamoci un film già visto,” Due nel mirino” e sul divano.

Non per niente si dice arte del ricevere,  ma forse qualcuno che non ama l’arte ha frainteso anche la parola ricevere, che in effetti ha doppia valenza.
A Valenza Po negli anni il clima è cambiato, sono spariti i laboratori orafi e gli artigiani, il fiume è rimasto.

Non si vedono più le fiamme ossiacetileniche e i fumi, che mischiandosi alla nebbia davano vita ad un paesaggio surreale. E’ sparita anche la nebbia, chissà se così mascherato riuscirò trovare qualcuno che vende dell’uva spina già pulita, difficile, manderò dei fichi d’india.

Di solito funziona.


Marco 50&50

6 commenti:

  1. La lotta contro la forza di gravità in quegli anni era meno esasperata, quasi poco sentita. Miti
    Giorgio

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  2. Però era scontata.
    Allarga l'immagine
    Meno 30 per cento

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  3. Da qui mi sembra di vedere un bel pallone rotondo ma non sono sicuro, c'è un quadratino nero che disturba...
    M 50&50

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  4. Nel momento in cui questo post è stato pubblicato mi ero appena ustionata la mano sinistra con la graticola rovente del barbecue; a nulla è valsa l'acqua fredda, il foille antiustioni, la patata fredda per lenire il dolore che mi ha tormentato internamente, però non un guaito ho emesso avendo una soglia del dolore altissima. Rimedi che "di solito funzionano" ma che prima delle ore 08.30 della domenica successiva non hanno calmato il fuoco che correva nelle due linee parallele che percorrevano il palmo della mia mano e che solo oggi non sono altro che tracce lucide da cui sono scomparse le impronte digitali ed anche il monte di venere. Ora che il post l'ho letto e digerito è tornata in me la bontà ed è comparso un pensiero gentile per il grande Alberto Bevilacqua che ha amato la signora Miti. Lui era un modello di gentilezza e di educazione ma essenzialmente un galantuomo rimasto fedele alle sue passioni, un termine che oggi raramente si può usare a riguardo di qualcuno e la gentilezza e la cortesia devono essere imposte per legge.
    Alba

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    1. Che tu colga l'essenza è appurato, il bello è quello che aggiungi con spirito, per me è per gli altri, sarebbe lo spirito giusto...la mia Domenica senza il tuo commento è stata un inferno, ma non vorrei ricordarti le fiamme...
      M 50&50

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