Dopo aver assaggiato, più volte, questa
boccia, in giro per degustazioni – Parigi e Alassio - e averla trovata sempre
mai meno che buona – fatte le giuste proporzioni, va senza dire – ho deciso di tastarne
una a casa, in santa pace.
L’atout
per comprarla, mi è venuto, non tanto dalla rivista americana Decanter, la
quale, lo scorso anno, la inserì tra i 35 migliori vini del mondo - peraltro
l’unico champagne (sic!) – quanto piuttosto l’averla trovata, in un iper francese,
quasi alla metà del suo solito prezzo.
Pecunia
non olet,
mai.
Sei anni sur
lattes, in percentuali quasi salomoniche tra Chardonnay (51) e Pinot Nero
(49), è frutto di un blend di uve di 17 villaggi, di cui dieci provenienza Gc e sette Pc.
Fine l’effervescenza, con un naso che si
sviluppa tra elementi floreali, fruttati – pompelmo e arancio, albicocca e
mango – con corollario di sentori di lievito, frutta secca e flebile
mineralità. Ma c’è un ma: legno che pesa e ha influente voce in capitolo.
Il palato, di vivace acidità, insiste sulla
falsariga olfattiva, rincarando la dose della falegnameria, la quale, col tempo,
diventa pressochè egemone, con gli altri aromi poco o punto pervenuti. Chissà
che qualche annetto non gli conferisca maggiore carattere e maturità, levigando
un filo le tante asperità legnose.
Pur con qualche attenuante sul millesimo, non
facile, attendo che Régis Camus, lo Chef
de cave, mi stupisca anche con i millesimati della casa, così come gli è
riuscito con la cuvée de prestige. Per
ora, il dislivello da questo vintage,
al Rare, resta importante.
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