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Il suo primo difetto è che viene sempre male in foto, perché tutto quel grasso che butta fuori in cottura finisce con il riflettersi alla luce del giorno o della sera, infastidendo comunque l'obiettivo, che sempre più raramente coglie. Ecco un
altro prodotto che fu di lusso, che fu straordinariamente gourmand, ma che sta
vivendo un periodo amaramente caramellato.
Come il salmone e il caviale, anche il foie gras che ho incontrato nell’ultimo anno su alcune delle migliore tavole italiane non è più quell’alimento che fu molto buono, o per lo meno riconosciuto tale -soggettivamente- dagli amanti del tema.
Come il salmone e il caviale, anche il foie gras che ho incontrato nell’ultimo anno su alcune delle migliore tavole italiane non è più quell’alimento che fu molto buono, o per lo meno riconosciuto tale -soggettivamente- dagli amanti del tema.
Questo
argomento spacca normalmente il mondo dei buongustai in due. A rodersi il
fegato ci sono i sostenitori della questione etica e animalista schierati
contro gli chef e contro i gourmet che badano
al sodo, alla sostanza più che al metodo e alla filiera che ha consentito loro
di gustarsi al ristorante una scaloppina di foie gras.
Era sulla
pagina gastronomica de Le Figaro di qualche tempo fa il bell’articolo che
portava in evidenza l’intenzione di grandi chef, quali Joel Robuchon e Gordon
Ramsay, di eliminare dalla carta dei loro ristoranti il foie gras. Per diversi
motivi, tra cui, intuisco, rifarsi un’immagine più nitida, pulita e più moderna
con cui rivolgersi ad una quota di clientela più giovane e attenta ad aspetti
diversi relativi all’alta gastronomia. Una clientela nuova, e quindi molto
interessante.
Si, anche trovarsi davanti alla porta
di un ristorante pluri-stellato o davanti all’ingresso di un’azienda alimentare
un corteo di animalisti muniti di striscioni e megafoni non è un bel vedere,
anche perché immediatamente arriverà un bel gruppetto di giornalisti
vegetariani a dare eco alla protesta. L’immagine conta, e quindi, oltre al
fastidio e l’imbarazzo, anche l’aspetto mediatico porterà pubblicità negativa a
quel ristorante o a quell’azienda, che insieme al foie gras trasforma e vende
anche tante altre materie prime.
Farsi trascinare nella rissa non
favorisce nessuno, né le aziende né il ristoratore di successo, e proporre un
foie gras certificato bio e sopprimendo le oche solo dopo averle ipnotizzate
(succede nel sud della Spagna), non pare la soluzione del problema, anche
perché a 1000 euro al chilo se ne trovano di alimenti eccellenti…
Tanto più che ho visto negli anni alcuni bravissimi chef marinare, assemblare e poi cuocere torcioni o terrine di foie
gras mi cuit partendo da una materia prima che costava la miseria di 30 euro al
chilo, materia prima utile anche a realizzare un’eccellente salsa royale. Si
può quindi ottenere un ottima terrina o un ottima salsa senza spendere una
follia, facendo felici chef e clienti, ma non è questo il punto rilevante.
Ha più rilevanza l’arrivo in tavola
di scaloppine di foie gras dalla consistenza vomitevole, molli, porose e svuotate dei
loro succhi, che buttano fuori grasso luccicante, che emanano un odore di
pollaio e di mangime. Questo è un cibo gourmand? Questi sono piatti da gourmet?
Tutta quella filiera per una pessima scaloppina di foie gras?
No, grazie, senza ipocrisia. La
miglior pubblicità negativa possibile al foie gras la stanno facendo proprio le
materie prime che rendono il piatto spiacevole invece che stuzzicante, e sarà
anche per questo che uscirà gradatamente dalle carte e dai menù di molti
ristoranti.
Il pragmatismo prima dell'etica e dell'ideologia.......
RispondiEliminaLucas
Il dilemma di ieri diventa post di oggi, sta uscendo anche l’insalata dalle carte, che sia l’alga che avanza…
RispondiEliminaM 50&50
ufff
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