Come ci si avvicina a un
mito della viticoltura mondiale, cercando di superare quel senso di devozione che
pure è doveroso e inevitabile?
Mentre osservo il
bicchiere e ripercorro mentalmente le nozioni acquisite sui vini della Loira,
l’AOC Savennières e la biodinamica, mi convinco che l’approccio migliore sia
una bella tabula rasa, cercando di
dimenticare le sensazioni suscitate da bottiglie di annate più recenti del
medesimo vino.
Sì perché qui il
concetto di vino “vero” e “vivo” (oggi forse un po’ abusato per strizzare
l’occhio al marketing) non si applica solamente ad annate diverse, o a
bottiglie diverse della stessa annata, ma si declina anche tra un bicchiere e
l’altro della stessa bottiglia.
L’impatto di questo
giovanotto 32enne è piuttosto devastante: il colore è ambra liquida, dalla
luminosità accecante, mentre all’olfatto ti maledici subito per non averlo
aperto qualche ora prima da quanto è chiuso e sei consapevole che dovrai
attendere prima che si dispieghi in tutte le sfaccettature. L’attesa del
piacere è essa stessa piacere?
Per me che sono
un’impaziente di natura, la risposta non potrebbe che essere negativa, ma mi costringo
ad attendere, in rispettoso silenzio, come si attende il passaggio della
carrozza reale.
Ed ecco che, piano
piano, le Roi Chenin Blanc si mostra,
svelando note di intensa frutta candita, incenso, miele, tè, e un sorprendente
sbuffo di erbe aromatiche che rendono il bouquet incredibilmente fresco.
Definirlo complesso
sarebbe lesa maestà, ma l’apice dell’ampiezza si raggiunge all’assaggio.
Potente, materico,
esplode letteralmente in bocca con tutta la sua spinta alcolica, pieno ai
limiti del grasso, ma quando pensi di essere stato sconfitto dall’apporto
glicerico dato dalla parte di uve botritizzate, arriva una sferzante acidità
(32 anni…) a tenderti la mano e a riequilibrare l’insieme.
E’ come un pugile che
prima ti rifila un gancio alcolico e poi ti fa una carezza acidula e il
“dolore” si elide, lasciandoti lungamente e dolcemente stordito.
Una vera festa dei sensi,
impreziosita dai miei compagni di bevuta, profondi
conoscitori di vino e di ottimi vini, che mi hanno raccontato molto di Nicolas
Joly, soprattutto ciò che non sapevo e che ha immediatamente acceso la spia
della mia curiosità.
Sapevo che Nicolas Joly
da Savennières è uno dei precursori della biodinamica in vigna, stretto
osservante dei dettami del Professor Rudolf Steiner
(“Impossibile
definire l’uomo poiché egli è punto di equilibrio delle sue forze”: questa me
la ricordavo dal liceo, perché mi era piaciuta molto).
Non sapevo che prima di Nicolas era la madre l’anima del Domaine e che
quasi sicuramente noi abbiamo bevuto un vino “di” Madame Joly.
A proposito di Signore, narra la leggenda che proprio agli anni ’85-’86 un’altra
Madame, anzi La Madame de Bourgogne, Lalou Bize-Leroy, sia rimasta folgorata
dalla filosofia dei Joly, proprio visitando la Coulée de Serrant.
Si tratta di un vigneto mitico e antichissimo, che si porta
egregiamente sul groppone quasi un secolo di vendemmie.
Sette ettari di terreno composto
prevalentemente da scisto rosso, che garantisce un drenaggio ottimale,
esposizione favorevole (Sud/Sud-Est) e un clima non dissimile da quello della
Borgogna. Queste condizioni creano un
microcosmo adattissimo allo Chenin, vendemmiato a più riprese, rigorosamente a
mano, con rese molto più basse di quelle consentite (20-25 ettolitri per ettaro
sui 40 autorizzati).
Tutto ciò regala un vino estremamente
concentrato, in cui attualmente la porzione di uve attaccate dalla muffa nobile
è più bassa rispetto al passato: a dire il vero nella bottiglia del 1986 noi
l’abbiamo avvertita poco, o meglio ci è parsa splendidamente integrata nel
mosaico di profumi che questo vino è in grado di regalare.
Durante l’assaggio, ho tentato mentalmente
qualche abbinamento, ma mi sono arresa, perché, come recita qualche sito
inglese, thisis an Iconwine, che va
bevuto da solo, possibilmente non da soli, perché condividere bottiglie simili
ne moltiplica l’effetto inebriante e rende complici di un’esperienza
“esoterica”.
Perché, come diceva Rabelais, “Nel vino è
celata la verità. La Diva Bottiglia vi ci manda: siate voi stessi interpreti
della vostra scoperta”.
Chiara
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