-gdf-
Un pensieroso Daniele Lunghi
sta imbastendo mentalmente la breve ma efficace presentazione del suo menù di
caccia, riuscendo pur senza un microfono in mano a far intendere a voce che anche una sequenza di piatti realizzati con le carni di animali rimasti vittime di una sparatoria possono nascondere aspetti etici
rispettabili.
Vegani e vegetariani inorridiranno, ma è nella storia atavica dell'uomo la caccia, far finta che non sia così sarebbe da ipocriti, nel rispetto delle idee di tutti.
Vegani e vegetariani inorridiranno, ma è nella storia atavica dell'uomo la caccia, far finta che non sia così sarebbe da ipocriti, nel rispetto delle idee di tutti.
Un menù senza compromessi,
dove la sequenza di sapori non è partita dal piano terra ma già dal quinto, arrampicandosi verso l'attico dei sapori più intensi e più concentrati
possibili, perché, come spiega Daniele, chi vuole provare questo tipo di menù deve
essere pronto a spingersi verso la saturazione del gusto.
I vini, assolutamente all'altezza della situazione particolare sono di Prunotto, mentre Valentina al banco dell'aperitivo mi sorprende servendomi uno dei miei bianchi italiani preferiti. Proprio il Meursault abruzzese del mio amico Leonardo Pizzolo di Valle Reale.
La mia vigna preferita, quella del giardino di Popoli, accompagnandoci in una sequenza di salumi da capriole, se non ricordo male di Bettella, premiatissimo salumificio cremonese dalla filiera corta e dal sapore lungo e grasso.
Valentina, invece, sempre impietosamente magra nei confronti degli uomini di peso, di testa o di pancia.
La mia vigna preferita, quella del giardino di Popoli, accompagnandoci in una sequenza di salumi da capriole, se non ricordo male di Bettella, premiatissimo salumificio cremonese dalla filiera corta e dal sapore lungo e grasso.
Valentina, invece, sempre impietosamente magra nei confronti degli uomini di peso, di testa o di pancia.
Siamo qui proprio nella giornata dell'uscita in libreria della Guida ai Ristoranti de L'Espresso, che anche quest'anno indica ad Alassio -in paragrafi- La Locanda dell'Asino, insieme al ristorante del Grand Hotel e al Nove di Villa della Pergola. Curioso che i tre locali siano tutti inclusi in un albergo, situazione che probabilmente consente di gestire meglio le risorse.
Leggendo qualche pagina della Guida mi finisco il Trebbiano di Valle Reale. Si fanno ovviamente ragionamenti da bar campanilistici e commenti regionali più colti sulle scelte dei colleghi de L'Espresso, che in Liguria hanno individuato ben 18 locali cappellabili. IMHO parecchi -non ci riuscirei neanche da poco sobrio- ma dove un diciannovesimo piazzato sulla testa di Daniele Lunghi non avrebbe per nulla spostato il bar in centro.
Ma l'importante e che la piccola sala sia al completo, che vuol dire otto tavoli.
Valentina, alle prese con la sequenza di vini di Prunotto dove svetta il Barbaresco Bric Turot 2012, che tiene il passo con il Barolo Bussia 2010 senza timore. Comunque ben riusciti anche il Mompertone, la Barbera d'Alba e il Nebbiolo 2014.
Ottimi sia il pane, la focaccia e i grissini
Nello stesso piatto il cinghiale con mela fermentata e il germano reale con le olive, amuse bouche già coraggiosi, ma se vuoi affrontare i cinghiali lo devi essere.
Fagiano alla battaglia 2.0 omaggio a Franco Colombani ... citazione da brividi. Ricordi nitidi.
Pernice e tartufo nero recita semplicemente il titolo, ma la complessità del piatto è evidente
Di altissimo profilo i cappelletti di daino e marroni al burro affumicato e ginepro tostato.
Sapori che spiazzano ma che alla fine convincono. Persistenza che si scambia il testimone con il Nebbiolo
Special Guest Giorgio Servetto, che finito il servizio al suo Nove di Villa della Pergola, appena premiato a Firenze con due cappelli sulla Guida de L'Espresso scende in tempo per gustare un paio di piatti di un'intensità rara, qui, nella sua vecchia casa adottiva. Bello questo gesto, che fa onore a King Georges.
I piatti di selvaggina salsata non sono stati pensati per essere fotogenici, in quanto esistono da prima che venisse inventata una macchina fotografica, quindi in questo caso l'obiettivo è diverso. E seconda considerazione, la selvaggina è quasi sempre costituita da carni magre, perché recuperata da animali che vivono in libertà, dai muscoli forti e grasso scarso, come quando andavo in palestra.
Diventa fondamentale saper fare delle salse, che come spiega Daniele, devono essere proporzionate nel doppio del volume del pezzo di carne. Ecco quindi la copertura della splendida lombata di cervo su spinaci e zucca, nappata generosamente da "sauce gastrique", che anticipa la riuscita lepre alla royale, veramente dal gout sauvage. Daniele ha lavorato a lungo a fianco di Ezio Santin, imparando alcuni "trucchi" indispensabili per la riuscita del piatto principe della cucina di caccia.
Il brodo del cacciatore, come fosse una tisana da prendere al ritorno da una giornata trascorsa nei boschi a raccogliere funghi in stagione di caccia, evitando di essere impallinati. Fa sudare proprio come quando l'hai scampata bella.
Dai boschi alla foresta, una foresta nera moderna e giustamente alleggerita, visto il peso specifico del menù, che comunque non si è rivelato pesante, neppure il giorno dopo. Pronti per la colazione con salami cremonesi e quel che resta del Barolo. Anzi, brindiamo con Pol Roger e mettiamo già nel mirino la prossima serata tematica, mirata (si può dire mirata?) sul tema del gran bollito, come me verso le 2 di notte.
Mi si è scassato l'obiettivo della Nikon. L'ultima immagine cruda e seppiata al nero è questa, immagine dedicata al patron Gianni Gaibisso, artefice ed ideatore di serata veramente trasgressiva lungomare e con 18 gradi di temperatura all'ora dell'aperitivo.
gdf
Bravo Daniele!!!!
RispondiEliminaDavide Cannavino
Anche le sparatorie posso essere gourmet :-)
RispondiEliminaFranck