By Sophie
I numerosi disagi e ritardi risultanti dall’incendio
del terminal 3 di Roma Fiumicino non
sono riusciti a minare l’entusiasmo che provavo per questo mio primo viaggio in
Georgia. Questa meta la sognavo da tempo, ma i troppi impegni mi avevano tenuta
lontana da questo bellissimo paese, finché non ricevetti un invito da parte del Georgian National Tourism Administration
, a partecipare ad un Tour Press
organizzato in occasione del Wine Festival di Tbilisi, una vera manna caduta
dal cielo.
Marani di Iago Bitarishvili
a Chardakhi – Kartli
Sono diversi i paesi a poter vantare una
cultura millenaria del vino, però la Georgia è l’unica a poterne rivendicare la
più antica. Numerose sono le testimonianze archeologiche che dimostrano che la
vite selvatica è stata addomesticata per la prima volta, proprio lì, durante
l’era neolitica, oltre 8.000 anni fa.Dal Caucaso, la viticultura si è successivamente
espansa ai paesi del bacino mediterraneo come Grecia e Impero Romano.
Se nel corso dei secoli, la Georgia è
stata vittima di numerose invasioni, anche da parte degli arabi, non ha mai
abbracciato in massa la fede islamica. La predominanza della religione cattolica,invece,ha
giocato un ruolo non da poco, contribuendo
ad innalzare il vino a qualcosa di sacro, onnipresente nella cultura e nei
costumi odierni.
Le tecniche di vinificazione ancestrali georgiane
sono così ancorate nella tradizione che nemmeno la tecnologia moderna è
riuscita a soppiantarle. E, paradossalmente, sono proprio questi processi del
tutto arcaici a suscitare curiosità nel mondo del vino contemporaneo e a
spingere un numero sempre crescente di vignaioli a sperimentare quel tipo di
vinificazione.
La Georgia si distingue quindi da
qualsiasi altro paese per il suo modo del tutto unico di vinificare il vino in
Qvevri. Si sente spesso parlare di vinificazione in anfora però l’uso di questo
termine in tale contesto è del tutto improprio. Le anfore sono vasi di
terracotta che venivano usati ai tempi dei Greci e dei Romani esclusivamente per il
trasporto del vino. Ivasi tradizionali impiegati dai Georgiani, invece, oltre
ad avere delle capienze maggiori rispetto alle anfore, fino a 2.000 litri, sono
vasi vinari nei quali avviene la fermentazione ma anche l’affinamento e la
conservazione del vino.In alcune regioni, come in Emereti ad esempio, i Qvevri vengono
chiamati Churi.
A secoli di distanza, la loro fabbricazione
è ancora del tutto artigianale. Sono
rimasti in pochi i vasai che tramandano ancora l’arte di questo difficile
mestiere, il quale, oltre a richiedere precisione e pazienza, implica un
notevole sforzo fisico: i Qvevri sono interamente modellati a mano. Dopo la cottura nel tipico forno a
legna, l’interno del Qvevri viene rivestito da cera d’api mentre l’esterno è
ricoperto da calce prima di essere sotterrato.
Già, perché un’altra particolarità del
metodo tradizionale georgiano è che i Qvevri vengono interrati nel suolo. Nel Kakheti,
la più importante regione vinicola del paese, i Qvevrisonosotterrati nelle
cantine chiamate Marani, mentre in Imereti, altra regione vinicola di rilievo,
lo sono ma a cielo aperto. Questo sistema permette di avere una temperatura
naturalmente constante durante tutto il ciclo di produzione del vino così come
durante la sua conservazione.
Oltre al tipo di contenitore utilizzato,
è soprattutto la vinificazione in sé, ad essere agli antipodi delle usanze
nostrane. Infatti, in Georgia, i bianchi vengono vinificati allo stesso modo
dei vini rossi, ovvero con macerazioni pellicolari piuttosto lunghe. Esistono
vari metodi di vinificazione in Qvevri a seconda delle usanze nelle varie
regioni. Quello impiegato nel Kakheti è senz’altro il più significativo. Si
distingue per via delle macerazioni molto lunghe, fino a sei mesi, ma
soprattutto per l’uso dei grappoli interi. Il contatto del mosto con bucce,
vinaccioli e raspi, dà origine a vini accattivanti, caratterizzati da un colore
ambrato, una grande struttura, una carica tannica notevole, oltre a un grande
potenziale di invecchiamento. La forma ovoidale dei Qvevri è volutamente affusolata
alla base, per permettere alle parti solide di depositarsi sul fondo. Nell’Imereti, invece, la macerazione prevede un
uso limitato o inesistente dei raspi.
Sartskhi usato da Iago
Bitarishvili
In un contesto dove la tradizione non
cede il passo alla modernità, anche le attrezzature usate per la pulizia dei
Qvevri, come i Sartskhi confezionati con la corteccia di ciliegio, sono d’altri
tempi.
Chkaveri nel vigneto di
Zurab Topuridze
La grande diversità di suoli e clima ha
favorito la cultura della vigna. Su 4.000 varietà di vitigni repertoriati nel
mondo, oltre 500 sono vitigni autoctoni della Georgia. Le stupende bacche rosee
dello Chkhaveri, uva autoctona della Guria, regione occidentale affacciata sul
Mare Nero, danno splendidi rosati ma vengono anche vinificate in bianco. Dal Chinuri,
antichissimo vitigno a bacca bianca a maturazione tardiva originario delKartli,
nascono vini che si contraddistinguono per la loro finezza ed eleganza e sono particolarmente adatti alla spumantizzazione.
Il Rkatsiteli, altro vitigno dalle origine remotissime, nativo del Kakheti ma ampiamente
presente in tutta l’aria caucasica e ben al di là, è caratterizzato da un’acidità
e da un grado alcolico naturalmente alti.
I chicchi del Saperavi, anch’esso originario del Kakheti, sono ricchi di antociani,
sostanze che conferiscono al vino un intensità di colore impenetrabile. Incredibilmente,
alla degustazione, risulta meno tannico di un bianco e stupisce per la sua
spiccata acidità e terrosità.
Chinuri appena spillato dal
Qvevrida Iago Bitarishvili
I georgiani hanno saputo preservare un
metodo di vinificazione che risale alla notte dei tempi perpetuandolo, secolo
dopo secolo, generazione dopo generazione, senza alterarne ne l’autenticità ne
la sacralità del gesto. Consapevole del carattere unico di questo metodo
tradizionale, l’Unesco l’ha riconosciuto come Patrimonio Intangibile
dell’Umanità nel 2013.
Non si può chiudere l’affascinante
capitolo sulla viticultura in Georgia, senza parlare dei brindisi, usanza molto
sentitache esprime il fortissimo legame dei georgiani con il vino. Nelle vesti di ‘Tamada’, alzo il mio bicchiere
ai custodi di un patrimonio senza
uguali.
Sophie
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