lunedì 8 giugno 2015

Georgia o la genesi del vino



By Sophie

I numerosi  disagi e ritardi risultanti dall’incendio del  terminal 3 di Roma Fiumicino non sono riusciti a minare l’entusiasmo che provavo per questo mio primo viaggio in Georgia. Questa meta la sognavo da tempo, ma i troppi impegni mi avevano tenuta lontana da questo bellissimo paese, finché non ricevetti un invito da parte del Georgian National Tourism Administration ,  a partecipare ad un Tour Press organizzato in occasione del Wine Festival di Tbilisi, una vera manna caduta dal cielo.



Marani di Iago Bitarishvili a Chardakhi – Kartli


Sono diversi i paesi a poter vantare una cultura millenaria del vino, però la Georgia è l’unica a poterne rivendicare la più antica. Numerose sono le testimonianze archeologiche che dimostrano che la vite selvatica è stata addomesticata per la prima volta, proprio lì, durante l’era neolitica, oltre 8.000 anni fa.Dal Caucaso, la viticultura si è successivamente espansa ai paesi del bacino mediterraneo come Grecia e Impero Romano.

Se nel corso dei secoli, la Georgia è stata vittima di numerose invasioni, anche da parte degli arabi, non ha mai abbracciato in massa la fede islamica. La predominanza della religione cattolica,invece,ha giocato un ruolo  non da poco, contribuendo ad innalzare il vino a qualcosa di sacro, onnipresente nella cultura e nei costumi odierni.

Le tecniche di vinificazione ancestrali georgiane sono così ancorate nella tradizione che nemmeno la tecnologia moderna è riuscita a soppiantarle. E, paradossalmente, sono proprio questi processi del tutto arcaici a suscitare curiosità nel mondo del vino contemporaneo e a spingere un numero sempre crescente di vignaioli a sperimentare quel tipo di vinificazione.




La Georgia si distingue quindi da qualsiasi altro paese per il suo modo del tutto unico di vinificare il vino in Qvevri. Si sente spesso parlare di vinificazione in anfora però l’uso di questo termine in tale contesto è del tutto improprio. Le anfore sono vasi di terracotta che venivano usati ai tempi dei  Greci e dei Romani esclusivamente per il trasporto del vino. Ivasi tradizionali impiegati dai Georgiani, invece, oltre ad avere delle capienze maggiori rispetto alle anfore, fino a 2.000 litri, sono vasi vinari nei quali avviene la fermentazione ma anche l’affinamento e la conservazione del vino.In alcune regioni, come in Emereti ad esempio, i Qvevri vengono chiamati Churi.

A secoli di distanza, la loro fabbricazione è ancora  del tutto artigianale. Sono rimasti in pochi i vasai che tramandano ancora l’arte di questo difficile mestiere, il quale, oltre a richiedere precisione e pazienza, implica un notevole sforzo fisico: i Qvevri sono interamente modellati a  mano. Dopo la cottura nel tipico forno a legna, l’interno del Qvevri viene rivestito da cera d’api mentre l’esterno è ricoperto da calce prima di essere sotterrato.

Già, perché un’altra particolarità del metodo tradizionale georgiano è che i Qvevri vengono interrati nel suolo. Nel Kakheti, la più importante regione vinicola del paese, i Qvevrisonosotterrati nelle cantine chiamate Marani, mentre in Imereti, altra regione vinicola di rilievo, lo sono ma a cielo aperto. Questo sistema permette di avere una temperatura naturalmente constante durante tutto il ciclo di produzione del vino così come durante la sua conservazione.

Oltre al tipo di contenitore utilizzato, è soprattutto la vinificazione in sé, ad essere agli antipodi delle usanze nostrane. Infatti, in Georgia, i bianchi vengono vinificati allo stesso modo dei vini rossi, ovvero con macerazioni pellicolari piuttosto lunghe. Esistono vari metodi di vinificazione in Qvevri a seconda delle usanze nelle varie regioni. Quello impiegato nel Kakheti è senz’altro il più significativo. Si distingue per via delle macerazioni molto lunghe, fino a sei mesi, ma soprattutto per l’uso dei grappoli interi. Il contatto del mosto con bucce, vinaccioli e raspi, dà origine a vini accattivanti, caratterizzati da un colore ambrato, una grande struttura, una carica tannica notevole, oltre a un grande potenziale di invecchiamento. La forma ovoidale dei Qvevri è volutamente affusolata alla base, per permettere alle parti solide di depositarsi sul fondo.  Nell’Imereti, invece, la macerazione prevede un uso limitato o inesistente dei raspi.




Sartskhi usato da Iago Bitarishvili

In un contesto dove la tradizione non cede il passo alla modernità, anche le attrezzature usate per la pulizia dei Qvevri, come i Sartskhi confezionati con la corteccia di ciliegio, sono d’altri tempi.



Chkaveri nel vigneto di Zurab Topuridze

La grande diversità di suoli e clima ha favorito la cultura della vigna. Su 4.000 varietà di vitigni repertoriati nel mondo, oltre 500 sono vitigni autoctoni della Georgia. Le stupende bacche rosee dello Chkhaveri, uva autoctona della Guria, regione occidentale affacciata sul Mare Nero, danno splendidi rosati ma vengono anche vinificate in bianco. Dal Chinuri, antichissimo vitigno a bacca bianca a maturazione tardiva originario delKartli, nascono vini che si contraddistinguono per la loro finezza ed eleganza e sono  particolarmente adatti alla spumantizzazione. Il Rkatsiteli, altro vitigno dalle origine remotissime, nativo del Kakheti ma ampiamente presente in tutta l’aria caucasica e ben al di là, è caratterizzato da un’acidità e da un grado alcolico naturalmente  alti. I chicchi del Saperavi, anch’esso originario del Kakheti, sono ricchi di antociani, sostanze che conferiscono al vino un intensità di colore impenetrabile. Incredibilmente, alla degustazione, risulta meno tannico di un bianco e stupisce per la sua spiccata acidità e terrosità.



Chinuri appena spillato dal Qvevrida Iago Bitarishvili

I georgiani hanno saputo preservare un metodo di vinificazione che risale alla notte dei tempi perpetuandolo, secolo dopo secolo, generazione dopo generazione, senza alterarne ne l’autenticità ne la sacralità del gesto. Consapevole del carattere unico di questo metodo tradizionale, l’Unesco l’ha riconosciuto come Patrimonio Intangibile dell’Umanità nel 2013.

Non si può chiudere l’affascinante capitolo sulla viticultura in Georgia, senza parlare dei brindisi, usanza molto sentitache esprime il fortissimo legame dei georgiani con il vino.  Nelle vesti di ‘Tamada’, alzo il mio bicchiere ai custodi  di un patrimonio senza uguali.

 Sophie





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