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E il Cartizze andava via a casse, perfino a bancali, anche se non costava pochissimo, come tutte le cose a cui dare un valore. In Piemonte si cominciava a vedere qualche Franciacorta d'autore (Bellavista o Ca' del Bosco era il derby da curva sud o nord), mentre l'Alta Langa appariva lontanissima e tuttora mi appare nebbiosa.
Limpido e vicinissimo invece il Cartizze, perché piaceva a molti, ma soprattutto a tutte, per via di quel finale amorevole fatto di dolcezza briosa da limone candito, quello che insieme al moderato alcol e a qualche battuta riuscita la faceva sorridere. E si sa, se riesci a farla ridere spontaneamente sei già a buon punto. E dopo che mi perdo.
Soppiantato dal Prosecco, da milioni di ettolitri di inutile Prosecco, coma la birra analcolica o la brioche vuota, soppiantato da un vino che godrebbe di uguale rispetto se non si fosse aperta la corsa fast and furious verso record da battere. Non di qualità, non di prezzo. Solo di quantità.
Torna il sole al Faro. Arrivano bottiglie commoventi da Santo Stefano di Valdobbiadene etichettate Silvano Follador. Il baratto continua a funzionare. Io scrivo -mi dicono in maniera cristallina- tu sai fare il vino in maniera brillante e non ruffiana. Ok, allora il baratto si può fare.
Elegante e fiorito leggo sulla scheda tecnica. Fiori bianchi e frutti bianchi, al naso e al palato. Ma dimentichiamoci dolcezze stucchevoli e ruffiane. Il vino è secco, verticale. Vero, non è tagliente, è al massimo accomodante come chi ti rispetta ma che devi a tua volta rispettare.
gdf
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