martedì 17 dicembre 2013

Genova | Il "cibo di strada"


gdf

Mi sveglierò presto e prenderò un intercity diretto a Genova Piazza Principe, poi prenderò un bus diretto al Porto Vecchio e risalirò a piedi verso Piazza San Lorenzo. Tra i vicoli chiari e vicoli scuri respirerò l'aria umida e invernale, cercando di cogliere e annusare le sensazioni rimaste di una Genova quasi scomparsa, quella delle tripperie estinte e degli altri cibi di strada rimasti, vecchi o nuovi.

I dialetti non sono più quelli che si ricordava Francone, e anche molte abitudini sono diverse. Però sono certo che una buona focaccia e due frisceu, cercando bene dovrei ancora riuscire a trovarli, prima di andare a pranzo con i soliti quattro gatti che anche quest'anno si ritroveranno stavolta tra i vicoli di Genova; secondo noi il luogo più adeguato per ricordarci bene di Franck The Big One.

Cinghiale &  Barolo, ce lo dice la stagione, ce lo dice la ragione, ce lo direbbe anche lui che va bene così, a tavola, come sempre, con un pensiero all'Universo femminile, così inteso nel racconto che mi chiese di pubblicare poco più di due anni fa. 

Sono andato a ripescarlo, e rieccolo, senza altri commenti retorici o melensi, che mai gradiva.



Ci sono alcuni piatti che vivono di vita propria nella nostra memoria, che attraverso gli anni, le stagioni, gli umori, mantengono tutto il loro fardello di ricordi. I friscieu di baccalà per me sono uno di questi: si servivano nelle friggitorie di Sottoripa in un cartoccio di carta paglia, credo si chiami così adesso, molto economici e servivano a noi studenti a tempo perso per toglierci un po' di fame nelle scorribande nell'angiporto.



La scuola era occupata in quel '68, a fare la rivoluzione, e noi da quattordicenni di allora non ci capivamo molto, e allora dopo le prime manganellate ci dedicavamo ad altro; e a cosa si poteva pensare nell'adolescenza se non al sesso?

Purtroppo i soldi erano nulli e l'amore libero era ancora a divenire, così ci accontentavamo di guardare le professioniste sgranocchiando un cartoccio con i friscieu di baccalà. De Andrè diceva che c'è chi l'amore lo fa per gioia, chi per professione e chi per passione; ed è proprio vero. La schiavitù non era ancora arrivata e l'unica droga in giro erano le Gitanes papier mais. E così scherzavi con la Maria giovane quarantenne, penso, che viveva di vendita di sigarette e cinque minuti d'amore con ragazzini squattrinati e con pensionati in bolletta.

Nelle mattinate di calma lavorativa ci raccontava della sua gioventù, degli amori, dei suoi sogni, a noi che potevamo essere suoi figli, perché è difficile trovare chi sa ascoltare le storie dei caruggi dove il buon Dio non posa neanche i suoi raggi, dove la gente sta a sentire senza dare subito giudizi.

Ah, dimenticavo, di friscieu ve ne era sempre uno per Maria o per Franzisca, prigioniera di un corpo non suo. In quei cartocci potevi trovarci di tutto: acciughe, panissa (ovvero farina di ceci) di provenienza araba, frittelle dolci, verdure o cose sconosciute arrivate da chissà dove... e che potevano tranquillamente tornarci.



E poi la farinata, pronta nel pomeriggio, calda, unta, croccante, con il suo fascino levantino, prolungamento temporale della focaccia del mattino. La scuola?? Ma quale scuola, è meglio questa. Perito Elettrotecnico lo sono diventato lo stesso, ma non ho ma trovato un libro più istruttivo di Maria


Sancio Panza


1 commento:

  1. "sputeremo il cuore in faccia all'ingiustizia giorno e notte
    siamo i "Grandi della Mancha",
    Sancho Panza... e Don Chisciotte !"

    Marco

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