Si dice così : "dai che andiamo dentro a mangiare tre piattini alla carta e poi proseguiamo per cantine." No, non sarà possibile neanche stavolta . Un secondo dopo avere aperta la porta, anzi, facciamo due perché l’approccio non è stato impeccabile lungo le scale d’accesso, quindi spostiamo velocemente il contesto mentale a dopo aver visto la faccia vispa di Mauro Mattei sorridere da un orecchio all’altro, imitato immediatamente dallo chef uscito dalla cucina con una grinta ed una sicurezza che non ricordavo. Un paio di sorrisi così disarmanti e convinti ci hanno fatto sorgere il sospetto che il pranzo non si sarebbe risolto con due piatti e dessert.
Accidenti che abbronzatura chef ! E poi quella magrezza impietosa verso chi come me aveva fatto di quelle caratteristiche una bandiera, bandiera ammainata , ma guardando questo giovane uomo che non molla, che prende la bici e va su per le colline delle Langhe a raccogliere erbe e fiorellini nel suo orto, allora mi sono detto, datti una mossa!
Quella sala non mi è mai piaciuta, anche la carta dei vini gridava vendetta qualche anno fa e la cucina spingeva più di ora verso l’oriente. Insomma, quando i miei vecchi associati di Passione Gourmet mi presentarono un conto da 19 su 20 , ribadito più di una volta, presi atto ma non senza qualche ombra nella mente.
La sala è quella, non c’è niente da fare, evidentemente a Ceretto piace così, non ci possiamo fare niente contro quel rosa zuccheroso. Invece la carta dei vini è oggi ottima , sviluppata al meglio, in mano ad un bravissimo sommelier, ex collega come cantiniere ma di nuovo collega come blogger perché articolista su Intravino. Personaggio che come mi dicevano i ben informati, scrive bene e parla tanto; nessun problema, quando incontro qualcuno che ha tante cose da dire lo ascolto volentieri, almeno le prime volte.
Quelli che parlano molto sappiamo che corrono incoscientemente il rischio statistico di dire qualche minkiata in mezzo a tante cose interessanti, oppure rischiano di dilungarsi su argomenti che interessano solo a loro, o su quelli in cui desiderano specchiarsi all’infinito, narcisi tannici. Dopo questa esperienza mi sbilancerei in maniera positiva, perché questo sommelier sarà anche il più simpatico chiacchierone d’Italia ( ma ce ne sono un altro paio di colleghi che se la giocherebbero fino al 90° ), però se in quattro ore non ha detto a mio avviso una sola minkiata e soprattutto nessuna minkiata ha messo nei bicchieri, allora per me va bene. Nel senso che interpreta il ruolo come ho sempre fatto anch’io, entrando sul tavolo e non subendolo, naturalmente quando il cliente lascia intuire che la cosa è gradita, o quando le situazioni si dipanino a favore dello scambio continuo di idee ed informazioni utili ad entrambi le parti. Il sommelier consulente insomma. Il sommelier che va un pochino oltre lo stappo, il sommelier che osa.
Osare nel senso di far provare, incuriosire, spiegare, far sorgere dubbi, levare certezze precostituite, con delicatezza, senza forzare su temi surreali come mettere d’ufficio il Moscato sul bollito, qui addirittura più regionale che in Emilia come ipotetico abbinamento, ma per nostra buona sorte fuori dai concetti di Mauro. Certo, il nostro qui ha giocato un pochino sporco, probabilmente si è andato ad informare dettagliatamente sulla prenotazione, cosa che facevo anch’io a dire il vero, google fa miracoli, ti puoi preparare la parte se hai capito chi arriva, ma alla fine si tratta semplicemente di un “plus” da riservare gratuitamente al cliente, farlo sentire finalmente un nome e non il numero di un tavolo.
Una volta intuito che il sommelier parlava la mia, la nostra lingua, si poteva felicemente proseguire nel percorso parzialmente concordato con Enrico Crippa, un percorso che a quel punto sarebbe stato antipatico restringere unilateralmente ad Alba e dintorni, mi bastava a quel punto rimanere su una traccia regionale ma poi lasciare mano libera all’interprete, che con la sua finezza, leggerezza, amore per fiori e piante, convinto aggancio territoriale e qualche gradita vigliaccata ci ha messo insieme una performance degna di un Giro del Piemonte con profondi sconfinamenti.
I passaggi sono stati moltissimi, qui io e Franck-One abbiamo superato la soglia di snack e di piatti con cui El Quique d’Espana ci assediò implacabilmente per quattro ore avendo alla fine la meglio sui nostri apparati gastrointestinali. Qui invece ne siamo usciti diversamente esausti, anzi no, neanche esausti, almeno non fisicamente quanto a tratti mentalmente . Qui si potrebbe fare un qualche richiamo e cercare una qualche relatività , citare tanti nomi della novella cucina italiana alla ricerca di similitudini, cercando per forza dei termini di paragone, cercare la causa di un deja vue frutto di congressi progressisti che fanno si che certe tecniche e certe concezioni si ritrovino all’interno di un circuito di ristoranti contemporanei europei , codificati come un family feeling da ritrovare nell’ambito di determinate frequentazioni. E non serve andarci ai convegni, i mezzi di comunicazione dove approfondire temi e tendenze sarebbero già più che sufficienti se quello fosse lo scopo. Non si tratta di una stigmatizzazione, mi pare oggettivo, come aspettarsi una tipologia coerente di opere esposte in diversi musei di arte moderna.
Detto questo posso solo ribadire di aver apprezzato moltissimo la raffinatezza, la leggerezza, la saggia scelta di ingredienti, il senso estetico, la ridotta deriva giapponese ed infine la piena concretezza in quei piatti dove ci deve essere, senza compromessi, dove non puoi lasciare il cliente a pensare al significato concettuale di una composizione ma lo devi solo far godere platealmente. Dolcezze, sapidità, cremosità, concentrazioni, consistenze, toni amari, toni piccanti, toni aromatici, tutto, o quasi tutto.
Argomenti di pacato dialogo, ma non si tratta neppure di abbozzo di discussione, potrebbero essere nell’ordine : la presenza praticamente nulla delle acidità primarie ( salvo nella divina giardiniera) ; la presenza forse eccessiva di fiori, germogli ed erbette, molte caratterizzanti e altre solo decorative e comunque dispensate a piene mani ; la necessità di cuocere o meno alcune carni a bassa temperatura e il gusto estetico espresso in un paio di presentazioni dispersive ( “esplose”) che possono far perdere la percezione di alcuni ingredienti che rimangono si nitidi, ma anche scollegati tra loro.
In questa prima parte sono passate solo le foto dei piccoli accompagnamenti che ci hanno traghettato dall’aperitivo ( il decoroso rosè Delamotte), all’inizio del menù vero proprio. Fiori , erbe, verdure e germogli sono quasi tutti di produzione propria , ormai uno chef moderno senza un orto biologico alle spalle della cucina si fa fatica ad immaginarlo. Una prima parte dove è tutto molto bello e leggiadro, in un soffio di primavera.
Nella seconda parte si farà molto sul serio e si toccheranno vette di sapore di altissimo profilo. Ma intanto ci sarebbero da riguardare gli amuse bouche, quasi tutti intesi in chiave tradizionale quanto a sapori ed accostamenti, come fosse la classica raffica di antipasti del pranzo domenicale dalla suocera piemontese coadiuvata dalla nuora di ritorno da un viaggio in Oriente, ma qui trasformati di forma e consistenza, e che ho deciso di non commentare singolarmente per lasciare spazio all’immaginazione. Immaginazione estensibile con un click per apprezzarne meglio la precisione nella costruzione o cercare di svelarne gli ingredienti, tra pomodori e bagnet vert, salsa tonnata, giuncata, lingua (d'oca), foie gras , gingerino, gaufrettes, caprino, lardo, tagliatelle "di pomodoro", ecc...
Ristorante Il Duomo, Alba.
Enrico Crippa
( fine prima parte )
- gdf -
Un moderato ritorno verso casa, inteso come una cucina piu' pragmatica e territoriale? L'impronta orientale rimane ma in maniera piu' sfumata?
RispondiEliminaMattei mi dicono attento anche sul versante bio/naturale, confermi?
Scusa, forse troppe domande per essere mattina presto, ma sai la curiosita' e tanta..
Thanks
L
E siamo solo a metà !
RispondiEliminaMeglio i piatti o il testo ? :-))
Si Luciano, sostanzialmente le tre risposte sono si, ma ne riparliamo con più calma stasera, adesso vado a visitare l'Eataly di Genova ;-)
RispondiEliminaPoi domani con la seconda parte non mancheranno altri spunti. A bientot.