Lato A : Pochi grammi di
coraggio.
“…perché forse in fondo è
vero che per essere capaci di vedere cosa siamo dobbiamo allontanarci e poi
guardarci da lontano…” (Daniele Silvestri-Il Viaggio).
O dobbiamo essere osservati
da altri, dall’esterno.
Impronta d’acqua non la
vedi proprio passando per Cavi di Lavagna, percorrendo il lungo stradone
trafficato di giorno e notte. Noti un sexy shop, tanto degrado e pochi
parcheggi. Di fronte il mare però luccica e non poco, quasi acceca; l’orizzonte
si vede a tutto sfondo e ricorda che c’è sempre una luce per chi vuole
trovarla. Scrutando per caso il locale lo vedi, o meglio lo cerchi e trovi,
andando avanti e indietro sul marciapiede stretto, tra pizzerie, portoni e
locali abbandonati. Hai trovato l’ago nel pagliaio: allora entri, ma ancora il
locale non lo noti. Spoglio, freddo, asettico. Salta all’occhio la cucina
luminosa, ampia, trasparente: bella bellissima.
Siedi al tavolo, sparisce
il contesto e la cucina diventa il locale. Ne sei fuori, ma ne sei dentro
(tieni a mente questa sensazione). Non senti un rumore, ma percepisci parole.
Come in un film di Charlie Chaplin i colori sono assenti così come il suono, ma
tutto accade.
Poi Ivan Maniago entra in
scena in sordina e compaiono i colori. Tenui, netti, decisi e brillanti quando
serve. Il verde delle erbe aromatiche è dominante così come il loro profumo,
siamo in Liguria, ora riconosco il luogo.
Ivan non è ligure e non lo
cela in nessun modo, ma in Liguria ha perso la testa e trovato famiglia; in e della
Liguria si è innamorato. Se della storia sentimentale a lieto fine non vogliamo
approfondire, è di quella con i prodotti di un territorio vergine di creatività
gastronomica che ci occupiamo. Vergine perché vi chiederete e vi spiego: i
prodotti ricchi di povertà di qui sono stati utilizzati nei secoli solo come
si è sempre fatto (con sempre variabile con il periodo) con le sole differenze
di gusto ed estro dei savoir faire, degli assi nelle maniche, dei segreti di
famiglia tramandati da massaie del passato e del presente e tra marinai e
contadini ora cittadini. I gusti si conoscono bene e piacciono, così come i
metodi e i mezzi per trattarli, servirli e abbinarli. Insomma la storia non è tuttafuffa, è già stata fatta, ma si è
fermata.
Torniamo al nostro“foresto”
con mano delicata e pugno di ferro, capace di mettere in agitazione questo mare
del Tigullio gastronomicamente piatto da anni, quasi in secca. Cussefà, l’è abelinou, nu capisce in belin,
mugugnano nei dintorni, ignari del fatto che lui sta solo prendendo in mano con
il cuore quelle derrate alimentari e le rispettive ricette per riscoprirne i
profumi semplicemente a modo suo; che è semplicemente una sintesi
personalizzata del modo di buona cucina di Marchesi e Berton, Léveillé, Alajmo
e Vivalda per dirne alcuni (ma non ricordiamolo troppo).
Mugugnano gli stolti, ignari
di quel che può accadere, è il mio momento di provare.
Succede allora che tutti i
castelli di sabbia, di preconcetti, di dubbi, di azzardi, insensati che si
erano formati per sentito dire e ingenuità (mia), crollano con fragore al primo
morso.E se ne costruiscono di nuovi con fondamenta in pietra resistenti e punte
di diamante luccicanti come stelle del firmamento (a buon intenditor…).
Succede che scopro la cucina
di Levante. E non nella canonica riscoperta delle ricette arcaiche, ma
sorprendendomi rinvenendo fragranze che da ligure (per un po’) porto dentro. Quelle
essenze che spesso anche le pietanze che amo e credo Docg di qui celano per
tradizione.
Succede allora che nascono
nuove ricette di cucina contemporanea del territorio vista da fuori, con i
profumi della zona, in forme e modi che si avvicinano ai saperi di qui, ma a
volte anche no; che sono una bella sintesi tecnica e creativa di tanti viaggi
fuori da questo ambiente che qui hanno fatto ritorno.
Ricette d’autore di un
giovane cuoco che è nato fuori da questo habitat, ma che ne è stato prima
catturato, poi accolto e ora inglobato. Perché ciò che lega le persone come i
prodotti ai luoghi non è il certificato di nascita, ma quello di adozione.
Ingredienti:
·
Pochi grammi di
coraggio.
·
Prodotti
giustissimi provenienti dai contorni del Tigullio di entroterra e di mare di
diverso valore sociale, con qualche immigrato internazionale per niente
infiltrato (perché l’identità in cucina è sempre frutto di migrazioni,
contaminazioni, seduzioni e colonizzazioni e soprattutto integrazioni).
·
Tecniche,
studio e ricerca, mani istruite e decise.
·
Testa dura e
cuore perché, se si decide di andare, si va a passo sostenuto e convinto, non a
passo di gambero e non di corsa, come le malelingue dicono lì intorno.
Procedimento:
Assaggiate tutto. Capirete
fin dai primi piatti l’identità dello chef e la sua maniera franco-veneta di
interpretare selvaggina e pesci locali, carni e legumi tutti vi colpirà.
Noterete la delicatezza, la maniacale attenzione ai tagli, agli intagli e ai
dettagli; e i profumi avvolgenti e penetranti, sempre presenti ma mai
protagonisti. Passate parola. Con il tempo
i locali e i passanti verranno a provare questa cucina di Levante giovane e
contemporanea, non fuori luogo, ma del territorio: visto da lontano, senza
miopia.
C’è un passaggio in più, un
sogno forse, che secondo il gastrofighetto ora alla tastiera renderebbe il
progetto completo e (ancora più) vincente. Che l’idea preponderante e tosta
(che riconoscerete assaggiando) di cucina diversa ma nota, fatta di sapori e
aromi decisi ma docili, divenisse l’(unica) Impronta d’acqua.
N.b. In degustazione, o
meglio mangiando, alcuni piatti ve ne ricorderanno altri familiari. Non
chiamatelo illusionista, Ivan Maniago non illude. Sei tu che immagini, lui non
dichiara il falso, ammette di giocare. Tra miraggi ponderati e abbagli tutti
del cliente.
L’apparecchiatura è ai
minimi del minimal: tavoloni di legno spogli con tovaglioli, portaposate
scheletrici, poggia pane piccoli e bianchi e uno strano zerbino in erba
sintetica verde brillante. Prima ti chiedi se sei al Golf Club, ma poi ti
ricordi che quello è a Rapallo, allora provi a grattarti le mani nel tappetino
come un gatto farebbe, ma non funziona. Qualche minuto e si risolve il mistero:
una lastra di ardesia viene posizionata comoda al centro del finto praticello
che assume più o meno senso.
Sopra i tre bocconi dello chef per dirti ciao: un cucullo saporito e croccante di patata curiosa “che sa di verde”; un quadratino di mortadella con una punta di mignolo di senape e qualche pistacchio che se mangiato a occhi chiusi pare proprio un hot dog e una semisfera di parmigiano, esplosione di latte che ricorda un po’ nell’intensità di sapore le frittelline al formaggio di Recco.
Sopra i tre bocconi dello chef per dirti ciao: un cucullo saporito e croccante di patata curiosa “che sa di verde”; un quadratino di mortadella con una punta di mignolo di senape e qualche pistacchio che se mangiato a occhi chiusi pare proprio un hot dog e una semisfera di parmigiano, esplosione di latte che ricorda un po’ nell’intensità di sapore le frittelline al formaggio di Recco.
Le bollicine de Paul Bara color cipolla (di Zerli, ça va sans dire) accompagnano il finger zeneize e quasi tutto il pasto. Poi
una ciotolina con una mestolata di pancotto caldo e vellutato, con un giro
d’olio nuovo arriva al tavolo, ma l’aroma dell’origano selvatico che la ricopre
inebria l’aria a partire dal pass. Incantevole, incanta.
Il Cappon magro a mo’ di
terrina con salsa verde e gambero viola da intingere in salsa tartara
(impeccabile), è perfetto nel suo essere ma manca di grinta, o meglio
considerata la potenza degli altri piatti sarebbe bello avesse anche lui quella
marcia in più. Gli manca la firma, pardon l’impronta, ma rimane per il palato un
gran piatto.
La Lepre è in salmì verticale,
definita nei singoli elementi con meticolosità, tanto precisa nell’apparire
quanto nell’essere carica di sapore, morbida e compatta con cipolle molto
caramellate e macaron di fegatini al seguito. Reazione al colpo di gola: occhi
fuori dalle orbite, salivazione aumentata, effetto wow.
Il soffice Tortello di
zucca mantovana dolce fa tesoro del vigore del crudo di triglia che gli fa da
cappello. L’intensità della bouillabaisse di zafferano amplifica e prolunga il
sapore iodato e amaricato della zucca; anche troppo. Con una punta di anice
stellato di troppo il retrogusto tende spiacevolmente alle saponine.
C’è una sfoglia che è una
lasagnetta, maculata di ragù di faraona, salvia, sedano rapa e patata americana
in creme, che va tagliata in quattro come una pizza e di ogni spicchio ne va
fatto un rotolo che ricorda un cannellone. Confusione? No. Potrebbe trattarsi
di trasfigurazione, perché all’assaggio quella lasagna sa di ragù alla
bolognese, quello con tanta besciamella.
“Ci voleva lui, ci voleva
lui, ci voleva lui… perché ritrovassi lei”: la maggiorana. Lui è un brodo limpido
e caldo con coniglio alla ligure a bagno sotto forma di tortellino. Umami tutto
ligure, secondo tradizione rivista, con la funzione digestiva di una zuppa di
miso orientale. Ma italiana: sotto le feste di Natale le viscere si ripuliscono
così. …Quel brodo lo berrei a
tutto pasto, rinnegando anche le amate bollicine…
Le Lattughe
ripiene di terra e di mare in infuso di triglia sono un capolavoro di
consistenze avvolgenti e profumi retronasali. Monumento alla tradizione
genovese, ne distinguono ed esaltano i tratti, caratteri e aromi. Umami molto
delicato, iodio ed erbe aromatiche-suggestioni di Liguria, di una striscia di terra sottile e fragile tra
mare e montagne. Mettici anche il tartufo nero e immagina come schizza il gusto.
Quando vedi la royale di germano
reale, puoi affermare di non aver mai visto una cosa così, qui. Quando la mangi
ti alzeresti in piedi per esibirti in 92 minuti di applausi (vedi ‘Il secondo
tragico Fantozzi”). La demi-glace è spessa e incolla il cucchiaio, la terrina
di germano e foie gras si divide (troppo delicata per usare il verbo tagliare)
con la forchetta e in bocca esplode. Borghese, iconica, classica, haut de gamme. Le note persuasive della
selvaggina, del foie gras, della cottura al vino rosso e del tartufo nero
fluttuano senza sosta.
Simmetrica, completa, regale.
Il gelato al panettone è precisamente quel che vuole
essere:tanto morbido che non sembra nemmeno freddo, come il dolce milanese:
tutto burro e tuorli d’uovo, compreso di canditi non in pezzi.
Il castagnaccio è bizzarro, è tanti ravioli di castagne
ripieni di crema di castagne, con pinoli e uvetta. Funziona, è dolce e morbido e
del castagnaccio supera i difetti. Questo né rimane attaccato al palato quando
poco cotto né si indurisce come pietra quando troppo sottile.Viene suggerito di
abbinarci un brodo, stessa base del coniglio ma con tè nero e rosmarino,
freddo, dopo aver mangiato ogni raviolo. Nessun azzardo, tutto centra e centra
così: non provare il brodo in altra sequenza, non sarà più castagnaccio.
Petit trois di dolcezza francese e c’est finis le voyage,
contemporaneamente fuori e dentro la
Liguria di Levante.
=un pesce fuor d’acqua=
[AAA.
Cercasi autori dello stesso calibro in tutta la Liguria per la formazione di un
dream team.]
"Le bollicine de Paul Bara color cipolla (di Zerli, ça va sans dire) accompagnano il finger zeneize e quasi tutto il pasto."
... un cucullo saporito e croccante di patata curiosa “che sa di verde”; un quadratino di mortadella con una punta di mignolo di senape e qualche pistacchio che se mangiato a occhi chiusi pare proprio un hot dog e una semisfera di parmigiano, esplosione di latte che ricorda un po’ nell’intensità di sapore le frittelline al formaggio di Recco. "
"... Poi una ciotolina con una mestolata di pancotto caldo e vellutato, con un giro d’olio nuovo arriva al tavolo, ma l’aroma dell’origano selvatico che la ricopre inebria l’aria a partire dal pass. Incantevole, incanta..."
" La Lepre è in salmì verticale, definita nei singoli elementi con meticolosità, tanto precisa nell’apparire quanto nell’essere carica di sapore, morbida e compatta con cipolle molto caramellate e macaron di fegatini al seguito. Reazione al colpo di gola: occhi fuori dalle orbite, salivazione aumentata, effetto wow."
... Il Cappon magro a mo’ di terrina con salsa verde e gambero viola da intingere in salsa tartara (impeccabile), è perfetto nel suo essere ma manca di grinta, o meglio considerata la potenza degli altri piatti sarebbe bello avesse anche lui quella marcia in più. Gli manca la firma, pardon l’impronta, ma rimane per il palato un gran piatto..."
"Il soffice Tortello di zucca mantovana dolce fa tesoro del vigore del crudo di triglia che gli fa da cappello. L’intensità della bouillabaisse di zafferano amplifica e prolunga il sapore iodato e amaricato della zucca; anche troppo. Con una punta di anice stellato di troppo il retrogusto tende spiacevolmente alle saponine."
“Ci voleva lui, ci voleva lui, ci voleva lui… perché ritrovassi lei”: la maggiorana. Lui è un brodo limpido e caldo con coniglio alla ligure a bagno sotto forma di tortellino. Umami tutto ligure, secondo tradizione rivista, con la funzione digestiva di una zuppa di miso orientale. Ma italiana: sotto le feste di Natale le viscere si ripuliscono così."
"C’è una sfoglia che è una lasagnetta, maculata di ragù di faraona, salvia, sedano rapa e patata americana in creme, che va tagliata in quattro come una pizza e di ogni spicchio ne va fatto un rotolo che ricorda un cannellone. Confusione? No. Potrebbe trattarsi di trasfigurazione, perché all’assaggio quella lasagna sa di ragù alla bolognese, quello con tanta besciamella."
"…Quel brodo lo berrei a tutto pasto, rinnegando anche le amate bollicine…
Le Lattughe ripiene di terra e di mare in infuso di triglia sono un capolavoro di consistenze avvolgenti e profumi retronasali. Monumento alla tradizione genovese, ne distinguono ed esaltano i tratti, caratteri e aromi. Umami molto delicato, iodio ed erbe aromatiche-suggestioni di Liguria, di una striscia di terra sottile e fragile tra mare e montagne. Mettici anche il tartufo nero e immagina come schizza il gusto."
"Quando vedi la royale di germano reale, puoi affermare di non aver mai visto una cosa così, qui. Quando la mangi ti alzeresti in piedi per esibirti in 92 minuti di applausi (vedi ‘Il secondo tragico Fantozzi”). La demi-glace è spessa e incolla il cucchiaio, la terrina di germano e foie gras si divide (troppo delicata per usare il verbo tagliare) con la forchetta e in bocca esplode. Borghese, iconica, classica, haute de gamme. Le note persuasive della selvaggina, del foie gras, della cottura al vino rosso e del tartufo nero fluttuano senza sosta.
Simmetrica, completa, regale."
"Il castagnaccio è bizzarro, è tanti ravioli di castagne ripieni di crema di castagne, con pinoli e uvetta. Funziona, è dolce e morbido e del castagnaccio supera i difetti. Questo né rimane attaccato al palato quando poco cotto né si indurisce come pietra quando troppo sottile.Viene suggerito di abbinarci un brodo, stessa base del coniglio ma con tè nero e rosmarino, freddo, dopo aver mangiato ogni raviolo. Nessun azzardo, tutto centra e centra così: non provare il brodo in altra sequenza, non sarà più castagnaccio."
"Petit trois di dolcezza francese e c’est finis le voyage, contemporaneamente fuori e dentro la Liguria di Levante."
foto gdf
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