- del Guardiano del Faro -
E alla fine del giro, dopo aver bevuto cinque annate
consecutive di Trebbiano Vigna di Capestrano ho dovuto concludere che le
stesse erano tutte talmente diverse da poterle riconoscere alla cieca. Provate
a farlo con un Cervaro. Ma sono i rossi di Valle Reale quelli maggiormente
considerati da degustatori, critici e giornalisti, e le guide confermano.
E
questo fatto secondo me non sta bene a Leonardo e a Enrico, perché si che fa piacere
aver già un ottimo riscontro sui rossi; si che va bene aver centrato un rosato
che va giù meglio dell’acqua, che costa pochino e che rappresenta la stampella
su cui si poggia il Domaine; ma rimane nell’anima bianchista di questi giovani
uomini il sogno di realizzare un grande bianco, ancor più ricco di stoffa e
soprattutto di personalità.
Per le vigne e per le cantine si aggira dunque da
qualche tempo il giovane globe trotter che del mondo ha visto già abbastanza da
aver capito come prendere la vita, e come prendere le viti. Sulle viti, il
giovane stregone investiga alla ricerca della sua pietra filosofale, che in questo caso si
chiamano lieviti indigeni. E allora, sullo sfondo delle vigne, oltre ai monti
abruzzesi si comincia ad individuare anche il profilo del campanile di Meursault.
Si, arrivo
qui e mi trovo subito a mio agio, perché un pezzo di Meursault è arrivato fin
quaggiù. La scuola è quella di Pierre Morey, che si vuol dire Pierre Morey, ma
vuol anche dire Domaine Leflaive. Sul tavolo si stappano a scopi didattici diversi vini di Borgogna: Morey, Leflaive, Coche Dury, Mortet, Ramonet... non solo per gioire ma anche
per capire, perché il mattino dopo si fa ancora colazione con brioches e Ramonet, onde
evitare di non aver ben inteso qualche dettaglio.
Qui si vive di pane e vigna e
non si vede l’ora di alzarsi il mattino per vivere tutta la giornata
dedicandola alla campagna, quindi bisogna nutrirsi bene per poterlo fare in
maniera equilibrata, ci vuole energia fisica e mentale. E capitare a caso al
Domaine in settimana di vendemmia vuol dire anche assistere alla tensione e
alla trepidazione che questi giovani uomini non nascondono, attendendo che
nasca qualcosa in cantina, e che vi nasca spontaneamente. Si chiama
fermentazione, ma per loro ha l’importanza della nascita di un figlio.
Un
figlio che avrà tutti i caratteri genetici di chi li ha generati, perché anche
all’interno di una sola vigna di viti ci sono molte vite. Si chiamano lieviti
indigeni, che da ciascuna parte del territorio provocano un profumo diverso,
perché intorno a loro ci sono piante e coltivazioni diverse che ne condizionano
le caratteristiche. E allora perché non provare a fare anche qualche pied de
cuve? Esatto, anche una dozzina se necessario, perché la pietra filosofale di
Meursault potrebbe proprio nascondersi in qualche angolo della Vigna di
Capestrano, anzi, sicuramente è qui, se no perché mai questi ragazzi sarebbero qui?
- gdf -
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