Domenica scorsa ho portato al meeting degli armadilli delle bottiglie di vino. Due, si usa fare così ai meeting, o due bottiglie o una magnum, va così già dal primo meeting che proposi nel gennaio 2007, quello che indicò una possibile strada a Claudio Sacco, una di quelle strade che – come ammise più volte autoironicamente lui stesso - ha battuto meglio, incredibile la sequenza di quegli eventi ormai, implacabili come il passare delle settimane sul calendario. Ci vediamo presto Claudio, almeno credo e spero; ma quello che volevo dire è che quella sciampagnata savonese segnò le abitudini future di molti di noi che frequentiamo il web anche con ambizioni secondarie, con il fine ultimo di poterci sdoganare alla platea non pagante con il ruolo di conoscitori non superficiali di vini. Quelli che vogliono partecipare ai meeting in maniera non passiva, quelli che sono sicuri di portare le bottiglie giuste, quelli che poi si sentono responsabili del contenuto della bottiglia, quasi fosse frutto del proprio lavoro piuttosto che quello di altri, di chi lo fa veramente il vino
Quel giorno, a Savona, nelle bottiglie c’erano solo grandi Champagne e sembravamo tutti felici noi che eravamo li, il gruppo fondatore di un modo di intendere diversamente il vino sul web, non più contatto virtuale ma finalmente umanizzato. Eravamo felici e stupiti, me lo ricordo bene, e lo sembravano anche quelli che poi si presero il tempo di leggere i resoconti su Altissimo Ceto, ma la felicità muore nel momento stesso in cui ti sembra di averla conseguita. Una deformazione mentale del concetto di partecipazione che si sposta velocemente verso l’ostentazione fine a sviluppare un ego già abbastanza espanso quanto un edge found addensato da una melma di subprime.
Il senso della misura l’ho rivisto molto meglio dimensionato il giorno in cui ho visitato questa proprietà nell’entroterra imperiese ad inizio ottobre già dal momento in cui “Beppe” – per convenzione - mi ha offerto un piatto di polenta e coniglio con un bicchiere del suo vino, quello che fa lui, ricavato da vigne di ormeasco vecchie di 70 anni collocate a 600 metri d’altitudine . Io l’ho assaggiato quel vino frutto, frutto di una vinificazione semplice quanto pulita: diraspamento e vinificazione in acciaio, nessun filtraggio e nessuna aggiunta di anidride solforosa.
Ma le maionesi !?! Quelle che c'erano in tavola, con le verdure dell'orto. Le maionesi. Non so neanche se sia italiano definirle "maionesi", al plurale, salsa francese, poi, con aglio, rafano, erba cipollina, comunque le abbia profumate la bravissima cuochina, comunque va benissimo, comunque le abbia messe insieme, di polso o di minipimer. Non ha torto il Maffi, l'uomo dalle uova d'oro, le maionesi con delle uova così, quelle che escono da fori non per tutti, quelle uova sono un'altra cosa! Una cosa buonissima, da perdersi, da leccare senza pensare alla monotonia assimilabile al gesto.
Dopo pranzo ho chiesto a Beppe di vendermene tre bottiglie con il proposito di poterle condividere con gli armadilli in occasione dell’ennesimo meeting a base di vini naturali. Anche i nuovi della selezione Armadillo Vini Vivi, che ancora non conoscevo, e che approfondirò meglio questo mercoledì a Courmayeur. Quindi, più di questo cos’altro potevo scovare per stupirli? Confesso che in quel momento ho pensato malignamente che questo potesse essere uno dei vini “meglio” profumati della giornata che andavo ad affrontare, invece i compari stavolta mi hanno felicemente stupito, forse un pezzo di messaggio è passato, esistono vini naturali che hanno anche profumi gradevoli, non è indispensabile che sappiano di stallatico .
Comunque, dove eravamo rimasti: ah, si, stavamo assaggiando l’ormeasco di Beppe; lui non dice niente alla mia richiesta d’acquisto di qualche bottiglia, per tutta risposta mi fa fare il giro della proprietà. La vigna, gli orti, i boschi, il frutteto, i tre grandi edifici utilizzabili per gli ospiti, le pecore brigasche, gli agnellini, i conigli, i polli, le galline, le decine di gatti e il cane rustico, cane rustico che con un occhio guarda dove vanno le pecore e con l’altro convince a rientrare nella stalla i due asini di ritorno dalla passeggiata pomeridiana all’interno dei non pochi ettari di cui possono disporre all'interno della proprietà
Beppe fa quasi tutto da solo per tenere in piedi un progetto grande venti volte lui, come può, sperando nell’aiuto di chi passa da quelle parti per restarvi poco o molto tempo, con lo scopo di vedere un futuro più lontano e più proficuo di quanto poté prevederlo John Keynes.
Era un pochino frustrato quel giorno Beppe, si trovava in difficoltà per una delle carenze giornaliere, una delle tante. Mi chiede una mano per fare un lavoretto, mi dice: vediamo se riusciamo a costruire una mangiatoia abbastanza robusta da reggere le cornate di un piccolo gregge di pecore brigasche? E proviamoci dico io dopo la terza grappa - ormai mi aveva tirato dentro nel progetto – non ho mai fatto niente dal genere ma in fondo si tratta solo di assemblare e montare dal nulla un intreccio di materiali di recupero quali legno, ferro, reti per pollai, lastre di vetroresina e non so più cos’altro, da montare e fissare solo con viti e chiodi.
La voglio far breve, ci abbiamo messo più di tre ore ma a fine pomeriggio le pecore brigasche hanno riavuto la loro mangiatoia, a prova di cornate. La cosa più sorprendente per me è stata quella di non ritrovarmi le mani piene di bolle, come dopo il primo inutile corso di tennis o di golf .
Meglio così, però sai che ti dico adesso Beppe, me ne vado, sono stanco, una stanchezza relativa, quella di quando fai dei movimenti a cui non sei più abituato.
Non mi ricordavo neanche più del vino, volevo andarmene ma nello stesso tempo ormai mi sentivo calato dentro progetti diversi, vedevo quello che c’era intorno e pensavo a come rendermi utile in quella piccola collettività, magari non ora, forse non sono ancora pronto, ci vorrà un altro colpo secco per convincermi, un qualche altro crollo, vediamo ancora per un paio di anni come vanno le cose, intanto scrivo, penso, ma se vanno come pare che debbano andare credo di poter tornare con il sorriso sulle labbra a rivedere la mia mangiatoia e le pecore brigasche.
Grazie Beppe sono contento di essere arrivato da te ed aver imparato a costruire una mangiatoia per pecore brigasche.
- gdf -
Si può ben dire " Braccia tolte all' Agricoltura "
RispondiEliminaSancio
....biodinamica ovviamente...:)
RispondiEliminabreg
sicuramente biodinamica, puzzerà magari anche meno di molti ddm ;-))
RispondiEliminaB.
Ci siamo infilati in un cul de sac e ci vorrà un sacc de cul per uscirne...
RispondiEliminaAnche no. Arrivati al cul de sac basta girarsi di 180° e ritentare l'uscita da dove siamo entrati. Mai, dico mai, mettersi a 90° perchè potrebbe arrivare il montone e a quel punto il futuro è davvero un tunnel senza uscita.....
RispondiEliminaA.
Io l’ho assaggiato quel vino frutto, frutto di una vinificazione semplice quanto pulita: diraspamento e vinificazione in acciaio, nessun filtraggio e nessuna aggiunta di anidride solforosa.
RispondiEliminaChissà se sei più tornato dalle pecore brigasche...
RispondiEliminaM 50&50
No...
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