Dopo aver scritto del rosé, il viaggio nel
mondo VCP prosegue - e non credo finirà qua - con un millesimo, poco celebrato,
sottostimato, anche bacchettato, all’uscita, ma solo ora considerato dagli
espertoni/wine opinion leaders.
Io, che di bolle francesi non ne mastico mai
abbastanza, ho sempre ritenuto ottima la ’98, senza perdermi in stupide e
sterili classifiche, buone solo per quei beoti, convinti comprando il numero
uno della lista, di portarsi a casa la bottiglia della vita.
Fosse così facile...
Eppure, all’epoca, il valore analitico dell’acidità
(7,78), qualcosa lasciava presagire.
La “Vedova” millesimata è 60 Pinot Nero,
33/35 Chardonnay e Pinot Meunier a completare.
Nonostante un dorato marcato, di evoluzione il
naso non ne vuol sapere. E non ne sa! Infatti è subito freschezza, a conferma della
vitalità della boccia. Tantissima pasticceria, quella crema chantilly che mi fa
salire sulla macchina del tempo e viaggiare a ritroso, quando bambino
osservavo, salivando, mio cugino pasticcere intento con il sac à poche a riempire prima e decorare poi i pasticcini.
Tantissima pasticceria dicevo, ma anche variazioni
agrumate – arancia e pompelmo rosa – si uniscono ai classici frutti scuri della
bacca nera, con tasselli speziati di macis e cannella, del caffè in polvere, una
progressione di liquirizia e solo sullo sfondo timide e sparute note di miele.
L’assaggio insiste sui medesimi binari
olfattivi, rilanciando tanto le connotazioni
fruttate quanto quelle speziate, con una nitida personalità minerale che, progressivamente,
si fa spazio. Il tutto inserito armoniosamente in un quadro di elegante
equilibrio, dove il dominus è la
freschezza. Il sorso, di profondità e persistenza notevoli, termina pimpante su
note di albicocca, spezie e cremosa mineralità.
Da assaporare lentamente, senza smania, anche
a fine pasto, magari con qualcosa di Denis Jasarevic, aka Gramatik, o, perché no, l’ultimo di Leonard Cohen,non
necessariamente in sottofondo.
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