del Guardiano del Faro
“Ascolta ragazzo, questo piatto non va bene; cioè, voglio
dire, va bene ma non per questo ristorante. Ti voglio domandare: sai perché il
nostro ristorante ha tre stelle da decenni e altri meritevoli ne hanno solo
due? Per una questione di dettagli, e quindi quella fogliolina di dragoncello,
te lo ripeto, va messa nello stesso senso in cui vedi disposto l’astice, e non
perpendicolare. Chiaro?”
Belle queste due
foto. I due amiconi reggono il lenzuolo da fotografo, che in realtà è una tovaglia. Agli appassionati di alta cucina brilleranno le pupille. La foto
dovrebbe essere una sola, credo, ma sul libro su cui l’ho rinvenuta è stata
stampata spezzata in due, metà sulla pagina a sinistra e metà sulla destra, ma
quel che conta è quello che fecero e che stanno facendo questi otto chef modernisti, riunitisi nel Groupe de Huit, chiamati a suo tempo da Marc Veyrat
per rinnovare e donare una nuova visione alla Nouvelle Cuisine di
Paul Bocuse, nel segno dell’amicizia e del rispetto delle rispettive cucine,
delle proprie peculiarità.
Il presidente, Marc
Veyrat, classe 1950, è l’unico col cappello, il suo cappello mediatico, mentre
gli altri non lo portano neppure, neppure quello da cuoco, come si usava
ai tempi di Bocuse, soprattutto quando ci si esponeva al pubblico. Nessuno tiene le mani e le braccia con la medesima postura. Non credo sia una situazione voluta dal fotografo. Hanno l’aria di quelli che stanno per combinare una marachella,
lo si intuisce dalla maniera con cui si porgono, esposti e non nascosti, davanti ad una lunga tovaglia ancora bianca, pronta per essere imbrattata.
Citato Veyrat, nell’ordine gli
altri: Olivier Roellinger, classe 1955; Michel Bras, classe 1946; Jean Michel
Lorain, classe 1959; Michel Troisgros, classe 1957; Alain Passard, classe 1956;
Jacques Chibois, classe 1952 e infine Pierre Gagnaire, classe 1950. Classe, gran classe e concretezza.
A guardare meglio i
millesimi di nascita, forse solo Bras può essere considerato di mezza
generazione diversa ma dal talento comune, sicuramente diversa rispetto al più giovane del gruppo,
Jean Michel Lorain, curiosamente anche il meno dotato, secondo me, anche se
come tutti gli altri –a parte uno- prese e presero le tre stelle Michelin. Non
Chibois, che ci arrivò in promessa, poi non mantenuta perché decise di voltare
la barra di navigazione in una direzione diversa.
Questi eterni
ragazzi, con l’esclusione di Roellinger, sono ancora tutti ufficialmente in
attività, e nel loro paese –ma anche all’estero- sono delle autentiche star. E
se lo sono meritato, perché, con le loro diversità caratteriali e di
intendimento di cucina hanno costruito quel movimento leggero, quasi
impercettibile, che ha reso di nuovo contemporanea un'idea di cucina comunque
classica, solo a sprazzi provocatoria, tanto per attirare l’attenzione dei
media, per poi ritrovarsi attorno al classicismo di sempre.
Una generazione
irripetibile, per quantità e per qualità. Avendo però potuto giocare in un campo
privilegiato, quello francese, e in un periodo economico notevole, in
particolare gli ’80 e ’90, dove per non riuscire a tirare avanti la dovevi
combinare veramente grossa, ma ad uno di loro accadde anche questo, e cioè di
portare i libri in tribunale con tre stelle. Fu Gagnaire a riuscire
nell’impresa, tra i più temerari in quella folle stagione vissuta nella decadente
St.Etienne.
Tutta questa storia
per dire cosa? Mah, perché sto notando che in Francia è probabilmente ripartito senza una precisa intenzione comune -e quindi a macchia di leopardo- un progressivo aggiornamento del classicismo.
Cambiano le forme, cambiano i colori, cambia la maniera di impiattare e qualche tecnica di cottura o di concisione delle salse, ma alla
fine, nel piatto c’è quello che ci deve essere. Lo noto da esperienze mie e da
quello che vedo scorrere sul web.
Certi piatti parlano
chiaro a tutte le latitudini dell’esagono, da Parigi a Menton, dall’Alsazia al
Bordolese. Tutto bene quindi, in regime di saggia cautela, però non in molti ad
altissimi livelli. Insomma, con tutto il rispetto, da Piège a Colagreco,
attraverso convegni e confronti ci si arriva ad avere tratti comuni da
condividere e che facciano accorrere nuovi clienti dai gusti accumunabili, ma che siano più giovani degli chef, mi auguro.
Ho ripreso una
vecchia Guida Gault Millau di fine millennio. Nella rubrica dei top di domani
sono citati in parecchi. Ho verificato: tutti più meno bravi o molto bravi, ma nessuno
è arrivato dove sono arrivati quelli del Groupe de Huit. Il salto generazionale
ormai c’è stato, non resta che aspettare la prossima generazione per augurarsi
di rivedere una generazione di fenomeni da ritrarre tutti insieme in uno scatto di classe.
gdf
gdf
http://www.lefigaro.fr/gastronomie/2014/03/21/30005-20140321ARTFIG00333-gastronomie-30trentenaires-qui-comptent.php
RispondiEliminaEccoli i nuovi trentacinquenni dell'alta cucina francese..... Alzi la mano chi li conosce. Giù le mani. Tempo scaduto
Rob
Beh, la differenza che salta agli occhi è rappresentata dal fatto che i magnifici otto, quando avevano circa 30/35 anni come questi, avevano mediamente già due stelle.
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