lunedì 30 dicembre 2013

Lo scamone alla Robespierre


gdf

Cominciamo male stavolta. Ci tengo a partire bene e brillante con un post, se no tu ti annoi, e domani finisce l’anno ma non comincia niente. Deciso, preciso e sanguigno, ma sarebbe andato bene anche sanguinolento, invece solo lento.

Non mi rendo conto di aver cucinato e poi divorato golosamente e direttamente in cucina lo scamone alla Robespierre senza essermi ricordato di fare due foto dopo aver lasciato il coltello, prima di impugnare la fatal forchetta.

Tutto ciò è imperdonabile per un food blogger. Ci sono rimasto male di umore e bene di palato quando l’ho finito. Ne cercavo disperatamente ancora in giro un pezzettino: con il macro me la sarei potuta cavare, inquadrandolo di taglio o di coltello.

Adesso che me lo sono finito posso solo zappare in giro per google immagini, altro non posso fare, se non attendere che il macellaio riapra, oppure cercare di dare un senso ad un post di fine anno già arrivato a metà strada senza una via d'uscita.

La Robespierre: un piatto da carnivori che esce dalla logica di Fiorentine al Sangue o Madame Piemontesi al rosa. Cosa sia uno scamone al rosa quelli di google immagini fanno fatica ad intenderlo, di conseguenza mi resta solo di far passare il messaggio fatto da un filetto dalla cottura magistrale.

La buona memoria non è solo ricordarsi quell'istante per poi riproporlo tale e quale. La mia memoria, di un qualsiasi oggetto o situazione, ridiventa visibile filtrata dal tempo e dall'esperienza.

La buona carne piemontese non te ne lascia di sangue nel piatto, se lo tiene, parsimoniosamente, diversamente dalla Chianina, esuberante ed allagante sull’orizzontale di ceramica. La Piemontese si rilassa e si concede solo se ben frollata, però poi non ti lascia neppure una goccia in giro.

Robespierre venne definito l’incorruttibile, e protagonista controverso, prima della Rivoluzione Francese e poi del Regime del terrore. Contro verso bisognerebbe intanto evitare di farsi tagliare il taglio di scamone dal macellaio, e poi anche a casa al momento di scegliere il verso giusto del pezzo di carne di fronte al coltello, per non offendere la nostra impoverita dentatura, ormai in balia dai decenni passati di cremine e passate.

Le migliori esecuzioni le comandò, a quanto pare, proprio lui, Maximilien de Robespierre, prima di fare la stessa fine, ghigliottinato grossolanamente. Perché debba essere associato al suo nome questo piatto bisognerebbe chiederlo, da quanto mi diceva il buon Pierre (tra i miei primi maestri di cibo e di vino), Robert's et Pierre, dicevo, bisognerebbe chiederlo ai milanesi, quelli che il carpaccio non lo volevano al sangue ma passato sotto alla salamandra o alla graticola. Che supplizi! Meglio la grossolana ghigliottina allora.

Tra toscani, piemontesi e milanesi, comunque sia, meglio i primi due di quelli del carpaccio al forno. Ovviamente questo piatto da fighetti milanesi, non poteva altro che essere costruito a suo tempo attorno ad un pregiato e costoso filetto, poi rovinato sotto la salamandra.

Piatto di servizio bollente, filetto scottato intero e poi affettato fine come la bresaola e condito con un intingolo (quando andava bene) fatto di olio profumato da aglio e rosmarino. Suggestioni e non suggerimenti.




Se no con il filo d’olio crudo e le schegge di parmigiano, limone e rucola. Proprio come si usava in quel locale milanese in Piazza del Liberty, dove la moquette tartan scozzese riprendeva i colori di moda delle giacche di molti dei clienti. Huei! Ma ti sei strappato via un pezzo di moquette dal pavimento del ristorante per farti fare la giacca?  Sono dei battutisti istintivi i milanesi, anche in cucina, fanno ridere senza neanche volerlo.

Il piatto è molto buono, ma va fatto così. Niente filetto, che è insapore di fronte ad uno scamone frollato come si deve. Si cuoce alla Marchesi, partendo da un bel blocco da 400 grammi con burro chiarificato e spumeggiante e da un tegame della misura del pezzo di carne. 

Tre minuti di qui, tre minuti di là cucchiaiandolo continuamente con il burro pescato ai lati della carne in cottura, piegando di qualche grado il tegame. E infine messo a riposare 5 minuti in forno a 60 gradi, su una superficie forata o una griglia, così che la carne non sudi.

In quei cinque minuti si prepara l’intingolo facendo prendere il profumo di aglio e rosmarino a qualche centilitro d’olio d’oliva già potente di suo, ma che non vada oltre i 69 gradi, più che sufficienti perché il grasso prelevi i profumi dai vegetali.

Qui il toscano va benissimo, ma su carne piemontese, anche se lo fa un milanese.  Si leva il pezzo di scamone dal forno e lo si scaloppa, ma non troppo finemente come un carpaccio; lo si stende su un piatto ben caldo ( e senza letto di rucola s.v.p.), quindi lo si irrora dell’intingolo, sale grosso e pepe nero. 

A quel punto bisognerebbe evitare di farsi prendere dall’entusiasmo e ricordarsi di fare un paio di foto ricordo di un piatto souvenir di un bel taglio, invece di mangiarlo con la foga di un qualsiasi vorace controrivoluzionario francese che avrebbe fatto a fettine anche Robespierre, inventando un'aggettivazione da un nome: alla Robespierienne. 

Felliniano si dice, come quando un popolo perde la testa per una persona e la trasforma in un aggettivo.

gdf

2 commenti:

  1. Mi sono sentito tirare per la giacchetta: una donna dal caschetto nero corto con un abito ancor più corto, vuole ballare un Charleston con un toscomilanese per vedere quanto sangue ha nelle vene, sia lì che da Pane&Farina la stessa moquette, da non sottovalutare, nell'eventuale dopo cena a ginocchia nude...
    M 50&50

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  2. http://www.ristorantecharleston.it/index.php?zone=cucina

    La moquette no, ma i piatti sono sempre i stess

    A&P

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