del Guardiano del Faro
Il ragazzo, a
frammenti mentali e singhiozzi verbali, cercava di capire qualche cosa in più di quel piccolo grande
mondo. Capire più chiaramente di che cosa stesse parlando quell’uomo in gessato
grigio, camicia bianca e cravatta blu; così elegante, così ben pettinato, così
sicuro di se stesso. Il padrone di casa citava con impeccabile pronuncia
parigina una serie di nomi e di termini che dovevano secondo lui corrispondere
ai migliori vini di Francia.
Il padrone della
grande casa sembrava più svizzero che italiano, perché parlava implacabilmente
in tedesco, in inglese, in italiano e in francese, applicando la medesima
disinvolta certezza dogmatica di fronte ai molti e diversi clienti
provenienti da mezza Europa. E tutti sembravano capirlo, più del ragazzo italiano.
Di fronte a tale
autorevolezza il ragazzo per un momento fu tentato dal lasciare le scelte in
mano al Maestro, ma poi, posto di fianco, si accorse con la coda dell'occhio che la giovane ragazza che lo accompagnava lo stava fissando con ammirazione e aspettative alte. Fu in quel momento che decise di non deluderla, ma di giocarsela
sporca, bluffando clamorosamente.
Prese in mano con
decisione quell’enorme volume che conteneva lo scibile enologico mondiale
cercando di ricordarsi qualche parola, qualche nome, qualche termine che fosse il più
possibile evocativo. Qualcosa di già sentito ma che non fosse troppo banale. Tutti gli Chateaux già gli apparivano un poco scontati;
invece in quel locale non lo erano assolutamente, ma si giustificò dicendo che quelli ce li
avevano già tutti in carta.
La divisione per
comuni della Borgogna sembrava la più interessante, perché i nomi delle località
erano quasi tutti doppi, quindi nobili: Gevrey Chambertin, Vosne Romanée, Puligny Montrachet,
Chambolle Musigny, Aloxe Corton, Pernand Vergelesses. Poi c’erano anche dei vini che non portavano neppure il nome dei villaggi dove venivano
prodotti. Quindi, immaginava, ancora più rari e prerogativa degli appassionati
più informati, più colti, più snob. Perfetti per il bluff, per fare il botto!
E li i termini si
alzavano di fascino e di promesse: Le Richebourg, Le Montrachet, La Tache , Le Musigny. Con l'articolo davanti? Che figata! Musigny?
Curioso questo nome, che non ti pone neppure il solito problema di arrotare una
R alla francese fino a grattugiarti la laringe. E poi, guarda un po' ; se lo vuoi, a parte il
prezzo abrasivo anche se senza R, lo puoi avere sia bianco che rosso, invece gli altri no.
Il ragazzo cominciò
a ragionare partendo dai piani alti della Borgogna attraverso un vino bianco e
uno rosso, come in osteria, ma denominati Musigny. Invece dei piani alti arrivò alla terrazza
dell’attico, e da lì sopra decise che il mondo era più bello visto dall’alto, fosse pure stato un grattacielo, un condominio, una montagna, o un faro. Immediatamente
apparvero,quasi d’incanto, quattro grandi e finissimi bicchieri a forma di
goccia rovesciata. Si chiamavano Riedel Willsberger spiegò il formidabile
anfitrione poliglotta.
"Mesdames et Messieurs les bienvenus dans un monde
parallèle, un monde d'exotisme bourguignonne."
Tornando sul pianeta Terra, il viaggio nell’esotismo di
un Musigny, rimane impresso più di tante fotografie o cartoline scattate o
comprate durante un lungo viaggio attraverso i terroir di Francia. Il punto
di partenza per capirne il fascino misterioso dovrebbe essere costituito dalla
visita dell’appezzamento di terreno di 10,7 ettari che riposa
sul lato sud del comune di Chambolle Musigny fino a piombare sui margini del
muro che lo separa da Clos de Vougeot, partendo dalla terrazza rocciosa e
calcarea che occupa.
Ma essendo già seduto a tavola e non sapendo neppure come
fosse fatto questo vigneto né conoscendone i migliori produttori mi accontentai
di una lezione sommaria, che come tutte le lezioni di vino, andrebbero prese
con un bicchiere in mano.
Negli anni ’80, i produttori più noti in Italia erano il
Domaine Comte Georges de Vogue, Joseph Drouhin e Louis Jadot, in un mix
identificativo vago, tra viticultori e negozianti. In seguito acquisirono
progressiva notorietà altri, che diventarono i tre migliori produttori di
Musigny; e cioè Georges Roumier, Leroy e Jacques Frederic Mugnier, con un occhio d'attenzione a quel fenomeno (ma non sempre regolare) che si chiama Dominique Laurent.
Per cominciare a capire andavano benissimo in quegli anni
i vini del Domaine Vogue, anche perché è il proprietario di tre quarti
dell’appezzamento, e quindi, per rintracciabilità e prezzo rappresentava la
migliore soluzione. Inoltre, chicca rarissima, il medesimo Domaine aveva
piantato nel grand cru Musigny anche uno 0,66 ettari di
chardonnay a spezzare il monopolio del pinot noir, da cui ricavare alcuni tra i migliori vini di questa vita. Il
Musigny Blanc 1982 e 1985 per esempio, di una ricchezza pari ad un Montrachet,
ma con una freschezza espressiva ed una finezza superiore, corredato da quella vena
esotica data dal terreno che ti fa l’effetto dello strabismo di Venere. Portare al ristorante una bella ragazza con gli occhi vagamente divaricati mi ha sempre intrigato. Dopo due Musigny, l'effetto divaricato si dilata per una mezzora, poi si ricompone.
Siccome le vigne vennero –diversi anni dopo- strappate e
ripiantate con nuove, quei vini irripetibili degli anni ’80 e in parte ’90 non
sono ancora stati ripristinati da produzioni più recenti, e quindi volendo
tentare oggi di provare l’emozione sarà necessario sborsare almeno un migliaio
di euro per un Musigny Blanc de Vogue 1983, 1985, 1989, mentre l’ultima annata definita
grande dagli esperti è la 1998.
Il primo Musigny en rouge che il Maestro mi fece provare
fu invece dell’annata 1978. Chi ha in mente la tabella delle quotazioni dei
millesimi capirà che era difficile capitare meglio di così. Sarebbe come bere
oggi, o tra qualche anno, un Grand Cru della Cote de Nuits del 2005.
Poco sensibile al fascino dei vini dei Domaine che
mixavano le attività di Proprietari e di Negociant, spesi poco tempo e denaro
sulle produzioni di Jadot, Drouhin e Prieur (comunque interessanti nelle grandi
annate), mentre affioravano le tre minuscole produzioni di quelli che oggi sono
considerati i migliori Musigny, e cioè Leroy, Roumier e Mugnier.
Tutti molto in alto nelle classifiche, en rouge naturalmente, perché il Musigny Blanc va oltre ogni normalità, e oltre ogni classifica. Non c'è un cz da fare, certe cose non si possono neppure immaginare di replicare. Neanche il milionario cinese che si è lamentato con il suo agente di viaggio per l'albergo prenotato per suo conto a Parigi riuscirebbe a comprare un Musigny blanc 1982, 1985, 1989, e berlo nelle condizioni migliori. Potrebbe aspettare che gliene producano uno più recente, come rimodernare quell'albergo sgradito, il Ritz e tutta Place Vendome, un piccolo quadro storico che gli è parso così scandalosamente vecchio in rapporto al prezzo richiesto.
gdf
I buoni Maestri producono eccellenti allievi, diventati Maestri forse ancor migliori del Maestro. Quanto mi è lieve questa lezione? Beppe
RispondiElimina"Dopo due Musigny, l'effetto divaricato si dilata per una mezzora, poi si ricompone"
RispondiEliminaFosse sfuggito......
A
Avvertenza: le etichette sono da sfogliare con la mano sinistra
RispondiEliminaIo non commento.
RispondiEliminaF.
Forse solo un Mugnier 98 insieme, e che aveva anche patito l'autostrada mare-navigli
Elimina..riferimenti puramente casuali ?....
RispondiEliminaNulla va per caso
EliminaCome il Caballero anni 70?
RispondiEliminaUGM