mercoledì 31 luglio 2013

Racconti d’estate # 7 | 3 + 1 a Ponente



 di Marco 50 & 50

Quando ho detto tre giorni a Ponente non era una bufala, ma di pizza parleremo dopo, un'ora prima delle 5 Ci svegliamo, io non mi riaddormento e partiamo, unisco il piacevole al dilettevole, porto la mia quota rosa al mare e brindo col Guardiano. Evito l'invadenza, non di territorio, perché L'Arma di Taggia è un boomerang e ritorna tra le scelte delle mie ferie, lascio passare l'anniversario alternativo e mando una mail a gdf, "SaNremo armataggiati un paio di giorni, il 50% del tempo abbiamo un appuntamento col mare, la sera se vuoi/puoi siamo liberi" Ecco la risposta di gdf "allora ci si vede domani a mezzogiorno per un aperitivo a Playa Manola" come non detto, ma ci vado volentieri.

La sera pizza, alle dieci ordiniamo una Margherita e una Vegetariana, è quasi il giorno dopo e le nostre pizze non si sono ancora viste, forse hanno scommesso su quante birre sarei riuscito a bere nell'attesa e si sono fatti prendere dal vizio del gioco. Chiedo gentilmente se per la Margherita stanno aspettando Cocciante, mia moglie vira in carnivora e vorrebbe addentare il lato B della cameriera, se è per quello anch'io, la camerierina si scusa parlandomi dal lato A, io che in questi casi ho molta memoria visiva, la perdono, lei aggiunge, scusate ancora, ma siete arrivati subito dopo un gruppo che sta cenando all'interno, allora non resisto e le dico "non sapevo aveste 5000 posti indoor", lei fa come il gambero, ma non diventa rossa, va a prendere le nostre pizze indietreggiando e celando il lato B, io non degno di un'occhiata il suo lato A, ma forse una sbirciatina la do.

La mattina dopo sento gdf per i dettagli e gli dico "metti sabbia nei tuoi sandali e vieni a fare un bagno", l'acqua lo rende nervoso (sarà banale, l'acqua?) e mi fa "non è sabbia è strada, non sono sandali sono scarpe inglesi, non sono Bartali ma al limite Bitossi" poi, per non rischiare l'incubo acqua, con un sol colpo di coda, disdice l'ape delle 12 e propone una cena delle sue al Porto Vecchio; non so se Vintage.

Arriva a piedi, gli dico "sei senza macchina?" "No ce l'ho" e me la mostra, " intendevo quella con le gomme" , "il farmacista mi ha consigliato di usare le gambe per perdere il grassetto", "se mastichi due gomme a pranzo e due a cena il grassetto lo perdi lo stesso, poi dipende sempre da quello che bevi..." Appunto. Il giorno dopo un aperitivo in spiaggia senza quote rosa con una bella boccia di bolle rosè, salta fuori lo stesso, io salto fuori dall'acqua con un calice in mano.


In  4, 4 ore, 4 bottiglie, o meglio, tre bottiglie e altro alcool, qualcuno fotografa, qualcun altro pensa alle duemila battute che dovrà scrivere, uno le duemila battute le spara davvero a raffica, io mi aggrappo  con qualche battuta a qualcuna delle sue ma soprattutto lo ascolto e banalmente ma inevitabilmente  dico che ho incontrato uno sconosciuto che già conoscevo.

Domani si parte ma ad Arma è la festa del  Santo Patrono,  dalla sabbia basterebbe salire qualche gradino, prenotare un tavolo vista mare e vista fuochi, trasformare la tre giorni a Ponente in una quattro giorni, basterebbe...

Il Patrono è S.Erasmo, ma prima due righe e due puntini due su ieri sera.

Ero a cena con un'amica, si parlava in diagonale, avevamo a fianco la mia quota rosa e "questo è mio marito", anche se lei mi smentirà e negherà di aver mai detto mio, con connotazione possessiva, insomma vuole mettere i puntini sulla i di mio, ma per quanto possa farlo (smentire) il linguaggio del corpo non mente, il marito non mente, le mani di lei che lo sfiorano non mentono, le parole di lei quando racconta di lui non mentono...


Dicevamo, anzi "stavamo dicendo", con la mia amica si parlava di tè nel deserto, di gabbiani, di splendide norvegesi che ricordano Lauren Hutton, di cene in Francia, di pianisti, di uomini affascinanti, di bicchieri di carta, di bicchieri spaiati, di gioielli, di un aspirapolvere (perché lei spazia), di Roger Moore, dell'orsetto che ci siamo fatti soffiare in una bella serata senza un soffio di vento che è finita in un soffio.

E dopo Moore abbiamo parlato di Connery, del Connery maturo, e io ripenso a Guglielmo da Baskerville, alle citazioni di Erasmo e so che nel bel viso di Adso Da Melk, in un libro, ma anche in un film che parla di monaci e di morte, c'è tanta poesia e allora capisco, collego e rimango (più 1) a Ponente, perché tutto trova un senso e poi, perché far torto ad un Erasmo? L'elogio della follia, per un matto al 50%, merita rispetto.



Così dopo Erasmo da Rotterdam "approdato a Ventimiglia e sceso ad Arma per concordare una partita di Moscatello di Taggia da spedire in Vallonia per essere bevuto in coppe di terza misura appoggiate su lenzuoli;  no, su tovaglie delle Fiandre." passiamo con altrettanto rispetto a Sant'Erasmo e, prima della cena al Playa Manola  e dei fuochi d'artificio e sull'acqua, ai fuochi di Sant!Elmo .






Marco 50 & 50

martedì 30 luglio 2013

Tequila


di Giorgio Manara

TEQUILA
PULQUE - MEZCAL

La leggenda:
si parla che un fulmine colpì il cuore di un MAGUEY (antico nome dell’Agave), bruciandolo e facendone sgorgare un liquido aromatico che gli indios “Tequili” bevvero come un miracoloso regalo degli Dei. L’agave, allora molto importante nella economia domestica delle tribù pre-hispaniche, veniva associata alla Dea
MAYAHUEL 

Oppure
Come racconta un’altra leggenda da:
MAYAUETHL
Donna della tribù ATZECA DEGLI OLMECHI che per prima riuscì ad estrarre il succo del MAGUEY.
Come di origine pre-hispanica sono le abitudini della cottura e fermentazione della pianta.
Sono però i Conquistadores Spagnoli ad introdurre in Messico l’arte della distillazione!
Da differenti varietà di Maguey (Agave Maguey o Espadin che si coltiva attualmente nello stato di Oaxaca) gli Spagnoli provarono a fermentare e poi distillare il succo ottenendo un prodotto superiore in gradazione alcolica che denominarono...


MEZCAL!
L’evoluzione:
Tra la fine del 18° e gli inizi del 19° secolo il “ MEZCAL “ prodotto in una piccola città chiamata TEQUILA, presso  la città di Guadalajara cominciò ad essere apprezzato per le sue eccezionali qualità:
Proveniente da una sola qualità di agave il prodotto si distingueva in finezza ed aroma.

L’AGAVE fa parte della famiglia delle AMARILLIDACEE di cui se ne conoscono più di 400 tipi anche se soltanto 197 sono commestibili e quindi impiegate in usi industriali. Da un solo tipo di queste piante viene prodotta la TEQUILA.

Nel 1900 un botanico francese di nome Weber, classificò la pianta segnalando la differenza con le altre qualità, e principalmente nel colore da cui poi derivò il nome di: AGAVE BLU TEQUILANA WEBER.

L’habitat naturale di questa pianta per clima e terreno e sull’altipiano del Messico nei dintorni della città di Tequila nello stato di Jalisco. Zona ben delimitata dalla denominazione di origine (Norma Oficial Mexicana) a cui sovrintende il Consejo Regulador del Tequila organismo preposto alla tutela e certificazione della qualità. E’ utile sapere che dal 1997 ha anche la denominazione geografica controllata, riconosciutagli dalla World Trade Organization e dall’Unione Europea.

Originariamente la Tequila si poteva produrre solamente nello stato di Jalisco, ma l’enorme popolarità di questo prodotto ha indotto il Governo Messicano ad allargare la denominazione agli stati di : Michoacan – Tamaulipas – Nayarit  e Guanajuato.


Fino a pochi anni fa solo l’uno per cento delle Tequile erano 100% blue agave, ed i produttori  lo proclamavano con orgoglio sull’etichetta! Il raddoppio delle esportazioni (anni fa gli Stati Uniti erano i maggiori importatori delle diverse marche di Tequila con un assorbimento di circa  l’ottanta per cento della produzione totale  Messicana), ha fatto in modo che attualmente non esista una Ditta produttrice di Tequila che non abbia in etichetta la sua 100% agave blu più o meno invecchiata (reposada).

La passione di questi ultimi anni per tutto ciò che è latino americano nel nostro continente, ha dato una svolta notevole alla produzione di Tequilas sempre più pregiate le quali si sono piazzate da prodotto di massa a prodotto di “fascia alta” anche giustamente per il notevole aumento dei prezzi oltreché della qualità. 

...tambien el tequila blanco con su sal le da sabor... "El Mariachi"

SI DEDUCE CHE :

Mentre una TEQUILA può essere uno speciale tipo di MEZCAL , prodotta da una singola varietà di AGAVE che cresce solo in una zona delimitata del Messico, NON TUTTI I MEZCAL POSSONO ASSUMERE IL NOME DI TEQUILA.
PULQUE  =  E’ DISTILLATO DI MAGUEY ( agave di qualità inferiore all’agave blu)
MEZCAL =   PRODOTTO NELLO STATO DI JALISCO E DISTILLATO DI FOGLIE E CUORE DELL’AGAVE MAGUEY PIU’ ALTRI  TRE O QUATTRO TIPI DI AGAVE
COCUY =  E’ UN DISTILLATO DI AGAVE PRODOTTO IN VENEZUELA

NEL 1974 LE AUTORITA’ MESSICANE HANNO STABILITO CHE UNA TEQUILA PER ESSERE TALE DEVE CONTENERE ALMENO IL 51% DI AGAVE BLU (la rimanente percentuale è principalmente alcol di canna da zucchero)  E SUBIRE MINIMO DUE DISTILLAZIONI (tradizione le vuole in alambicco discontinuo)



LA PRODUZIONE :

1.        Dalla pianta madre vengono presi i germogli e parte della piante stessa (50 cm di altezza)

2.        I germogli vengono potati e poi interrati con un solo colpo di zappa (AZADON) quando il terreno è molto secco.

3.       Il processo di crescita dura dagli 8 ai 10 anni

4.       Quindi Mantenimiento : cioè cura e fertilizzazione

5.       Tra febbraio ed Aprile il Desquiote ( Potatura) per evitare la fioritura della pianta.

6.       A  piena maturazione nel cuore della pianta si è formata una grossa Piña detta anche Cabeza (testa) che con tutte le foglie tagliate assomiglia ad un grosso ananas del peso che varia fra i 30 ed i 60 kg.( più grande è la Cabeza più zucchero contiene),alcune arrivano fino a circa 115 kg.

7.       Come dicevo le foglie vengono tagliate (jima) con il Coa (attrezzo lungo ed affilato manovrato con rara abilità dai Jimadores!
Le Piñe raccolte per sradicamento, trasportate all’impianto (Patio de Reception) vengono cotte in grosse autoclavi per mezzo di getti di vapore  (attorno ai 90°per circa due giorni)  al fine di renderle malleabili  alla frantumazione e rendere quindi  gli amidi dell'agave non fermentescibili in zuccheri fermentescibili. Nelle piccole e vecchie distillerie il passaggio al vapore viene ancor’oggi fatto in stufe di mattoni chiamate “Hornos”

8.       Un tempo la cottura delle” Cabeze”  durava quattro giorni e si faceva in fossi ricoperti con sassi roventi e terra .Attraverso un foro lasciato apposta venivano continuamente irrorati con acqua per la formazione del vapore.

9.       La cottura  odierna dura in media dalle 12 alle 14 ore.(……. notare che le temperature ed i tempi di cottura, variano sensibilmente da distilleria a distilleria!)

10.     I residui pressati per estrarre gli eventuali zuccheri rimasti.

11.    dopo un secondo lavaggio in altre autoclavi il mosto (primeras mieles) altamente zuccherino subisce un raffreddamento a 30° ed posto a fermentare nelle vasche apposite.

12.    I microrganismi (lieviti) naturali dell’agave agiscono ( se ne aggiunge anche) per 30 – 40 ore trasformano gli zuccheri in alcol per un valore del 5% circa.

13.    Quindi si passa alla distillazione discontinua

14.    Dalla prima ( dest rozadora) si ottiene un prodotto (“ Ordinario”) con il 25 – 29% di alcol.

15.A causa dei costi notevoli per il tempo – il lavoro – e la “vendemmia”dell’agave alcuni produttori usano tagliare le loro Tequilas (prima della distillazione) fino al 49% di polpa di canna da zucchero! ( …come detto in precedenza)

16.    Si ridistilla in un alambicco più piccolo separando il cuore dalle teste e dalle code ottenendo un prodotto con 55% di alcol ) La Tequila giovane) (…certe distillerie arrivano anche a 75° e tagliano poi il prodotto con acqua demineralizzata)

17.    Il distillato riposa per un certo periodo nei Pipon (enormi botti di acero)(alcune hanno già contenuto Bourbon)

18.    Dopo analisi organolettiche se messo ad invecchiare assumerà il nome di reposado = da 2 mesi ad un anno in barili di quercia  oppure Añejo= oltre un anno e fino ad 8-10 in barili sigillati dal governo che contengono un massimo di 350 Litri ( pare che la Tequila esprima il meglio di sé fra i quattro ed i cinque anni, anche se in Messico il 60% delle vendite di tequila è dato dal “Reposado”.

19.    La differenza tra Reposado ed Añejo sta quindi nella diverso periodo di permanenza in botte e dalla capacità della stessa.


Tequila Sunrise
CURIOSITÁ :

La tequila distillata artigianalmente produce un fastidioso odore di solfuro di idrogeno

Da qui nasce la simpatica abitudine di berla leccando sale e succhiando lime o limone. Infatti il cloruro di sodio del sale, unito all’acido citrico del lime produce un nuovo acido che ha il potere di annullare il gusto di solfuro di idrogeno che è la ragione del particolare odore del liquore, specialmente se bevuto a temperatura ambiente , ………che in Messico vuol dire mucho calor!

Altra strana abitudine dei Peones Messicani, e quello di accompagnare la tequila con la Sangrita= succo d’arancia – succo di pomodoro – erbe aromatiche della cucina locale – e.... e molto peperoncino!



VERME O NON VERME!?!?

Nessun Messicano sano di mente si sognerebbe mai di mettere un verme (Gusano) nella sua Tequila, e nessuno troverà mai un verme in una Tequila imbottigliata in Messico secondo le regole e la tradizione ma sembra sia stato un’espediente Americano per incuriosire i consumatori.

Solo nel MEZCAL  è possibile trovare il verme (e non sempre) e come dicono moltissimi produttori per una trovata pubblicitaria risalente agli anni ’40

Margarita!  Por favor!  

El Manara



LATO A





LATO B



lunedì 29 luglio 2013

Il Maroso


gdf

Ognuno cammina da solo, con i suoi piedi e dentro le proprie scarpe, ma di tanto in tanto si possono anche fare due passi insieme senza inciampare. 


E si. Una volta c'era il mare. E in seguito un mare di vigne. Poi sempre di meno, ma i vini di Taggia ebbero sempre grande fama, perché già a partire dal XIV secolo il Moscatello veniva imbarcato da Ventimiglia con destinazione finale l'Inghilterra e le Fiandre. 

E' da una decina di anni che l'Azienda Agricola Mammoliti di Ceriana ha rispolverato minuscoli vigneti, allo scopo di produrre piccole quantità di Moscatello, mentre questo non è un Moscatello, ma una rarissima bottiglia di Vermentino 100% coltivato sui rilievi di Taggia e imbottigliato per il ristorante Paolo e Barbara di Sanremo. Il messaggio nella bottiglia è stato lanciato, ed è arrivato a destinazione. Questo non l'avete bevuto, non ancora.


L'etichetta è già chiarissima di suo, cosa che apprezzo perché così riduco il rischio di scrivere minkiate. Quello che si può aggiungere è che, come mi dice Ivan Lombardi, la fermentazione spontanea con lieviti indigeni è durata 15 giorni sulle bucce, ma diversamente da molti altri vini borderline che rasentano la definizione di orange wine, in questo caso la fermentazione è avvenuta a temperatura controllata, e questo dettaglio non secondario ha fatto si che i profumi del varietale si siano mantenuti freschi e aderenti sia al frutto che al terroir.


Questo vino nasce dalla collaborazione tra la sopra citata Azienda Agricola Mammoliti, Ivan Lombardi e Paolo Masieri. Il primo è il proprietario della vigna e titolare del Ristorante Playa Manola di Taggia, mentre il secondo, eccolo di nuovo impegnato nel suo ruolo di "cuoco contadino". Uno chef di nicchia che quando non sta nella cucina del suo ristorante sarà sicuramente rintracciabile in una vigna o in un orto.

Quel che conta, alla fine, è che questo vino condominiale (sono circa un centinaio le bottiglie prodotte nell'annata 2012) sia ben riuscito. Certo, assaggiarlo così giovane porta la mente a dover pensare lontano; bisogna riuscire a vederlo in prospettiva più che sull'istante, all'orizzonte più che alla scogliera, ma il naso marino comunica già parecchio, così come l'importante materia che si esprime in bocca con autorità, senza incidere troppo sull'esuberanza alcolica, per nulla fastidiosa nonostante i 14.5° dichiarati. Per chi cercasse riferimenti, anche se non amo i paragoni, sarà necessario pensare alle vinificazioni di Walter De Battè o di Fausto de Andreis, tanto per spaesarsi poco e rimanere in ambito regionale.

Il Maroso andrà lasciato a riposare ancora a lungo in bottiglia, perché è chiaro che ha le qualità per invecchiare, che ha le caratteristiche per essere dimenticato qualche anno in cantina, senza preoccupazioni. Per il momento posso solo ringraziare Ivan Lombardi, il proprietario della vigna, che mi ha consentito l'assaggio, mentre per berlo in futuro e in condizioni ottimali, credo sarà indispensabile sedersi ad un tavolo di Paolo e Barbara. Un passaggio confidenziale in decanter e un grande bicchiere Bourgogne: et voilà! Il messaggio dentro la bottiglia, e sulla bottiglia, mi sembra inequivocabile.


gdf

sabato 27 luglio 2013

Le Bar à ongles

gdf

Sono convinto di aver letto da qualche parte su internet di un qualcuno che affermava che il 50 per cento delle informazioni inserite dagli utenti sul web sono (o sarebbero) false. Sarà vero o falso? Che la notizia stessa faccia parte di una metà o dell'altra non lo posso sapere, ma come spesso succede aiuta a pensare e a cercare di capire.

Basterebbero le lingue a creare il dubbio? Si, perché come al solito possono confondere le idee, e quindi potrebbe essere inteso in quel 50&50 anche qualche malinteso. Mi ricordo di quella sequenza plurima e reiterata sulla questione lobster, tra aragoste e astici privi o forniti di chele, dove l'inglese non fa differenza, e così anche chi le mangia può essere tratto in inganno se non conosce il francese anatomico.


Spostare la comunicazione dell'alta cucina all'anglosassone può essere pericoloso, perché se è vero che come comunicazione sono i numeri uno, è altrettanto vero che per termini e gusto sono molto più indietro. Anch'io, che un po' di francese ne mastico e ne ho masticato ai loro tavoli, rimango tuttavia reiterato e alterato nel pensiero mentre mi trovo di fronte al Bar à Ongles. Conosco il bar de ligne, e della sottile differenza tra lui e il loup de mer. Come è giusto distinguere tra spigola e branzino, specie se uno dei due puzza di fondale.

I francesi sono più preparati e furbi su questi temi, non c'è dubbio; ma non credo che qui sotto all'insegna ci sia nascosto un branzino di lenza ungulato. Che fare?




La clientela è tutta giovane e femminile. Dietro il bancone hanno qualche anno in più e sono tutte impeccabilmente addobbate (et pas de photo svp...), e l'aria condizionata consente loro di esibirsi in look spericolati già dall'ora di colazione. Tra le caratteristiche che apprezzo di questo bar, ci metterei la mancanza di tavolini, diversamente da come accade nei bar francesi, dove quasi nessuno  sta al bancone, ma comodamente seduto ad un tavolo a prendere un aperitivo, troppo spesso accompagnato da neanche un oliva. Mi devo mangiare le unghie con il Pastis? Invece qui ci sono solo sgabelli e un lungo; un immacolato bancone circolare dove colloquiare, equivocare o transare qualche patto poco duraturo.

Tuttavia la carenza di chiarezza viene presto a galla, perché l'odore di smalto non lo sopporto, neanche nell'Amarone della Valpolicella, figuriamoci con un Martini. E come snack mi dovrei accontentare di rosicchiare le mie? E allora, questa notizia sarà vera o falsa? Ci sarà un un bar dove insieme ad un Martini che bevi con la mano destra ci sarà una addetta a sistemarti le unghie del piede sinistro?




gdf



giovedì 25 luglio 2013

Una copita de Ron

di Giorgio Manara


Storia e leggende di una bevanda impregnata di sole



“ Rumbullion – Kill-Devil = Ammazzadiavoli,  è il nome che ancora oggi viene dato dai vecchi marinai a questa vigorosa bevanda intrisa di  gesta piratesche e sudore - sangue degli schiavi africani razziati dai loro villaggi e partiti per le Americhe dalla tristemente famosa isola di Gorée  di fronte all’attuale città di Dakar in Senegal, finivano i loro giorni nelle piantagioni di canna da zucchero  per fare quel Rhum con il quale a loro volta  erano stati comprati?!

Tafià o Guildive (ancora oggi usati) erano i termini con i quali si usava designare i primi fermentati della canna. Solo verso la fine del XVII° secolo i francesi iniziano a chiamare “Rhum” l’alcool di canna. Storie e leggende sembrano comunque intrecciarsi per creare un’alone di avventura e mistero sulla storia del rhum.


Dai commercianti di spezie, ai costruttori di imperi ai mitici pirati, questa bevanda  forte e stimolante, era considerata moneta di scambio per merci e servizi o  integrativo del  “soldo” su tutti i velieri  che trafficavano fra le Barbados, Giamaica e Bermuda.  Usata come anestetico per le operazioni chirurgiche di allora o come medicinale per malattie polmonari quali raffreddori e bronchiti, veniva anche usata come “ stimolante” del morale sui velieri della Compagnia delle Indie e con razioni da “cavallo” per lanciare i marinai o i pirati nelle battaglie più tremende : se non hai il cervello “ sotto alcool “ non vai all’arrembaggio con la spada fra i denti, solo perché ti hanno appena mozzato una mano……)


E’ nel 1655 che l’ammiraglio Penn istituisce per la prima volta la distribuzione di una razione quotidiana di rhum ai suoi marinai…….ed intorno al 1731 che l’ammiraglio Edward Vernon, conquistatore di Panama e Portobello, soprannominato Grog per la sua abitudine di portare una grossa palandrana in Gros-Grain (tipo di tessuto molto grezzo) che la rimpiazza con due volumi di acqua (che facilmente imputridiva nei barili di bordo)  contro un volume di rhum, aggiungendovi zucchero e succo di lime o limone che grazie all’alto contenuto di vitamina C (acido ascorbico) aiutava a combattere lo scorbuto. Un’altra versione dice che aggiungesse  acqua al rhum dell’equipaggio per evitare di avere sempre i marinai ubriachi! Da qui comunque il fatto che il Grog sia diventato sinonimo di bevanda annacquata.


“ Sangue di Nelson” è un altro sinonimo di rhum: L’Ammiraglio Horatio Nelson ne era un grande estimatore, nonché bevitore.  Il 21 ottobre 1805, sconfigge la flotta  Franco-Spagnola ma ci perde anche la vita. Conformemente al suo testamento il suo corpo sarà riportato in’Inghilterra dentro un barile pieno di rhum .

Durante il viaggio, i marinai, forse adempiendo ad un macabro rito dove si credeva di “bere” la forza ed il coraggio del defunto,  si servirono a pieni boccali!  Da qui le espressioni tipiche per bere rhum : “ farsi l’ammiraglio (se taper l’Amiral ) oppure bere il sangue di Nelson”.
Originaria della Nuova Guinea dove esiste tuttora allo stato selvatico  e già usata 6000 anni prima di Cristo dagli Asiatici come alimento o addirittura frutto (….ho visto io stesso pochi anni fa bambini delle isole portare a scuola un pezzo di canna dolce da succhiare come merendina nell’intervallo) fu introdotta per la prima volta in America da Cristoforo Colombo nel suo secondo viaggio (1493).  Importata dalle Canarie, dei germogli furono impiantati sull’Isola di Hispaniola (Haiti-Santo Domingo) da dove il primo carico di zucchero partirà verso la Spagna nel 1516.

Quando i francesi occuparono per la prima volta l’isola di Guadalupa nel 1635 (Spedizione Liévart de l’Olive), trovarono già nell’isola piccole piantagioni di canna da zucchero, sicuramente  derivate dall’isola di Hispaniola.   Padre Jean Baptiste Labat  (ecclesiasta) perfezionerà il processo di distillazione con i suoi alambicchi.

E’ intorno al 1640 che ha inizio la storia del Rhum!

Le prime acquaviti di canna appaiono sulle isole Barbados, allora possedimento  Inglese. Per averne riscontro nei possedimenti  francesi bisogna attendere “ L’Histoire générale des Antilles” (père Du Tertre - 1667).



Inglesi e francesi si contenderanno per anni attraverso la Compagnia delle Indie il primato del commercio dello zucchero e naturalmente del Rhum.
Pensate che Gaudalupa e Martinica  (Martinica primo produttore di rhum al mondo in fine Ottocento) sono diventate le isole famose per i rhum agricoli, fatti dal succo di canna vergine (vesou) soprattutto per il fatto che vendevano le loro melasse, che sono il sottoprodotto della produzione dello zucchero alle colonie inglesi dell’America del Nord, e che quindi non ne avevano per produrre rhum industriali!

Mi pare giusto rendere omaggio, a questo punto, ai grandi Barmen che nell’ultimo secolo hanno saputo con arte e buon gusto, innalzare il rhum sull’altare del bere miscelato con dei sapienti abbinamenti ad altri liquori e succhi di frutta. Immaginatevi per un momento, cappello di Panama in testa,  viaggiatori dell’epoca, e partire dal famoso “Bon Ton Bar” in Magazine Street a New Orléans, dove Albert Martin rese famoso il “ Ramos Fizz”!………Lasciamo il battello a pale e via….con una splendida goletta e prua su “La Habana” a Cuba dove ci aspetta Constantino Ribalaigua Vert  del “ Floridita Bar” forse il Barman più celebre per le sue creazioni  e che rese mitico il suo Daiquirì  a tal punto che il locale e chiamato tuttora “La Cattedrale del Daiquirì” e sempre a Cuba alla “Bodeguita del medio” di Angel Martinez mitica per il su “Mojito” .

E perché non fare un salto ad Haiti a farci preparare un “ Punch “ dal grande “ Olaffson “che ha contribuito a rendere famoso nel mondo il rhum Haitiano? La Giamaica è solo ad un braccio di mare quindi impossibile rifiutarci un drink al “Kelly Bar “ di Sugar-warf, dove è nato il Giamaica Planter’s?! Si potrebbe continuare per pagine ancora, ma mi sembra giusto il momento per chiudere questo piccolo sipario non senza aver prima mandato un “coup de chapeau “ al mitico “Don the Beachcomber” di Hollywood creatore dello “Zombie” e grandissimo intenditore e collezionista di tutti i migliori rhum di ogni provenienza che da sempre gli amatori si strappano a peso d’oro! Ci sono voluti viaggi, tempo, qualche ricerca e parecchie sbronze per potervi presentare storie ed aneddoti nonché i Cocktails che leggerete in seguito, ma credetemi, è stato un piacere……. che mi auguro diventerà anche il Vostro!



El Manara